Riflettere su Montanelli significa ragionare sulla storia d’Italia, in particolare sulle costanti della nostra vicenda storica, che, non a caso, nella produzione montanelliana affiancava l’analisi dei fatti contemporanei.

Vale la pena ripensare a come si chiuse, infatti, l’esperienza della Storia d’Italia, quando Montanelli scrisse che, di fronte all’Italia “dell’Ulivo”, nasceva in lui – o forse solo si rafforzava – la consapevolezza che lo spirito di parte, nella storia italiana, è inestinguibile, che gli eventi plurisecolari che hanno accompagnato la nostra storia ci hanno segnato in modo indubitabilmente negativo. Guelfi e Ghibellini, sempre; e sempre disposti a seguire il nostro “particulare”: più Guicciardini che Machiavelli.

L’invito a turarsi il naso e votare Dc, infatti, è l’invito di chi non ha più speranze, che si aggrappa all’ultima possibilità prima della catastrofe. Montanelli deriva molto dai suoi ispiratori, e fra gli altri Curzio Malaparte: ma la cosa che lo differenzia dagli altri sta nell’assoluta chiarezza della sua scrittura, che non ha pari, non solo fra i giornalisti, ma fra gli scrittori del XX secolo in Italia.

La chiarezza, la semplicità, la pulizia formale sono forse le caratteristiche più evidenti dello stile del giornalista, che muoveva sulle orme di Prezzolini, altro scrittore che preferiva la semplicità alla ridondanza, la classicità al barocchismo. Inutile dire che i critici non amano queste forme di scrittura, perché non permettono loro di vergare pagine su pagine per sviscerare questo o quel passo dello scrittore. Ritornando all’ultimo volume della Storia d’Italia, possiamo vedervi tutta la delusione di un uomo che, dopo aver attraversato il secolo, si rende conto che la storia non è assolutamente “magistra vitae”, anzi; che gli errori vengono ripetuti, peggiorati forse. L’esperienza berlusconiana, da questo punto di vista, è esemplare. Più che odio per chi lo aveva accompagnato nell’avventura del “Giornale”, si avverte il senso di una profondissima delusione, quasi disgusto, più che rabbia.

Se dal punto di vista politico Montanelli è giustamente riconosciuto come un acuto osservatore della realtà italiana – le parole con cui chiude la pluridecennale avventura della Storia d’Italia sono perfettamente applicabili all’attuale situazione politica – il Montanelli scrittore oggi appare invece maggiormente trascurato, e c’è un campo in particolare di cui oggi non si parla quasi più, cioè il Montanelli drammaturgo. I testi teatrali di Montanelli sono invece notevoli, in particolare Kibbutz, opera estremamente originale e perfettamente realizzata proprio dal punto di vista della costruzione teatrale, ambientata, come dice il titolo, in un kibbutz israeliano e strutturata come un affascinante giallo, senza trascurare l’analisi psicologica dei personaggi. Un testo teatrale che meriterebbe nuova vita, o almeno di essere ristampato (l’ultima edizione è del 1962) per trovare nuovi lettori e fare conoscere un interessante aspetto della produzione montanelliana.

Paolo Turroni