Non mi meraviglia più niente. Ieri sera, Genoa-Cagliari ha fatto scuola, evidenziando l’approssimazione dei clamorosi tentativi con cui sono gestite le politiche sociali del calcio italiano. Siamo alla follia. Hanno giocato una partita in casa (di Serie A) a porte chiuse e in un’altra città per motivi di ordine pubblico. Ripeto: un match casalingo obbligatoriamente in trasferta per timore di incidenti, nonostante fosse impedito l’accesso del pubblico sulle tribune. Avete capito bene: spalti vuoti in trasferta, senza supporter home né away, temendo i fantasmi di quei stessi tifosi che non potevano starci, perché cancelli e tornelli lucchettati.

Ricapitoliamo. I tifosi del Grifone interrompono la gara col Siena, chiedendo ai (loro) giocatori di togliersi pubblicamente la maglia. Alla gogna mediatica, segue la sanzione ‘sportiva’: due giornate tra le mura amiche, a porte chiuse. Per protesta e militia olistica, gli ultrà annunciano di presidiare ugualmente l’esterno di Marassi. Allora il problema non è più di curva, ma diventa di piazza. Apriti cielo. Montano polemiche: sigle sindacali di Polizia si scambiano accuse, sotto botta l’Ufficio di Gabinetto della Questura ligure. Risultato? La Lega di Serie A dispone in serale la (programmata) partita pomeridiana e casalinga del Genoa col Cagliari (causa contemporaneità con Fiorentina e Lecce), confermando le porte chiuse, ma nello Stadio Mario Rigamonti di Brescia, anziché nel Luigi Ferraris di Zèna. Motivo? Rischi d’ordine pubblico in uno stadio senza pubblico.

Perché? Semplice, siamo alla psicosi collettiva, all’agorafobia, al punto più basso della sindrome della paura. Ci troviamo nel mezzo di un cervellotico rompicapo, in fuga dalla realtà: i tifosi imprimono angoscia anche quando c’è la certezza che (sulle gradinate) di tifosi non ci sarà nemmeno l’ombra. Insomma, gli assenti presenti spaventano come e quando, anzi, più di quando sono presenti. Ecco spiegato l’arcano dell’espatrio a Brescia e l’abbandono di Genova per una gara a porte chiuse.

Capite? Tutto questo accade nell’età della Tessera del Tifoso, strumento che monitora e filtra il botteghino con la black list. E allora: come si può positivamente ripensare una Fidelity Card se siamo sempre al punto di partenza? Ormai nei nostri stadi di calcio, niente e nessuno sono più in grado di garantire per l’incolumità di nessun altro. Dentro e fuori gli stadi, siamo tutti potenzialmente e costantemente in pericolo, come in bilico sulla lama di un rasoio, nel limbo dell’insicurezza. Solo così si può spiegare il ricorso all’emergenzialità per amministrare l’ordinario e il fatto che le criticità sono affrontate col coprifuoco. Certo, la questione è diversa dalle brutture del passato, molti vuoti (legislativi) sono stati riempiti. Ma oggi, nonostante tutto, viviamo una fase di avvitamento, uno step culturalmente involuto, regredito anche rispetto alle politiche censorie del 1985 (Juve in Coppa Campioni a porte chiuse a Torino per l’Heysel), del 2007 (morte Raciti, esilio trimestrale del Catania a Cesena e Lecce senza tifosi) e del 2008 (Roma-Cagliari a Rieti a porte chiuse), pur sapendo che, dai prossimi calendari, ci troveremo alla terza stagione consecutiva del proibizionismo (necessario) da stadio.

Domanda: dopo Brescia, cos’altro deve accadere per capire che bisogna invertire la rotta? A che serve la Tessera del Tifoso se il Prefetto di Genova è costretto a chiedere un campo neutro, per motivi di ordine pubblico, anche quando non c’è pubblico?

Spesso, malcostume notoriamente italiano, si abusa dell’etichetta Modello inglese per dire che una soluzione radicale ed efficiente esiste, come se dal Taylor Report al Football Disorder Act la pubblica sicurezza britannica sia riuscita a debellare la piaga dell’hooliganismo. Sbagliato, o vero che sia, ammesso e non concesso che il nostro fenomeno degenerativo sia uguale al loro, non è completamente vero. Infatti ci si scorda che i bobbies continuano a tentennare. Dove? Non più dentro i teatri del football, ma fuori gli stadium, nelle zone limitrofe, nei pub, nelle piazze, nelle uscite delle metropolitane. Esattamente dove, inequivocabilmente, si posiziona l’azione politica di Genoa-Cagliari a porte chiuse e a Brescia per motivi di ordine pubblico (senza pubblico). Perché dagli spalti, lo spauracchio si sta lentamente spostando in piazza. Non resta che il coprifuoco.

P.S. (sta per Post Scriptum, che avevate capito?). Dimenticavo: sapete ieri sera dov’erano i tifosi genoani mentre i rossoblù sconfiggevano i sardi? Armati di radio e pay per view, se ne stavano a casa, al bar e davanti ai maxi schermi (per giunta in un museo!) per seguire la diretta. Mamma mia che paura…

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