C’è da dipingere di rosa il David di Michelangelo (e poi di giallo i capelli e il pube, azzurro ceruleo per gli occhi, cioccolata per la fionda e la base etc). Questo il compito per un gruppo di studenti dell’Accademia di Belle Arti chiamati a realizzare un breve workshop con l’artista tedesco Hans Feldman, ospite con altri 32 grandissimi dell’arte del ‘900 della mostra Arte torna Arte alla Galleria dell’Accademia.

Artista solito a lavorare sul tema della riproducibilità, la ripetizione e la circolazione delle immagini nella storia dell’arte, Feldman aveva già proposto in varie sedi espositive delle versioni colorate di statue-icone dell’arteLa Venere, Le Grazie e il David… Per questa occasione di massimo interesse – una mostra nella sede museale dove Lui è custodito! – la curatrice Daria Filardo è riuscita a procurargli la perfetta copia in vetroresina, 5,7 metri di altezza, realizzata dagli Studi d’arte Cave Michelangelo di Carrara due anni fa in occasione della biennale della Cultura, Florens 2010. 

La statua, impressionante per la somiglianza del materiale al marmo ma relativamente leggera – 400 kg – è arrivata di notte volteggiando sopra i tetti degli edifici per planare nel cortile vicino al bookshop. Da qui la richiesta di allievi della contigua Accademia di Belle Arti che potessero dipingere il gigante imprigionato nel ponteggio, divisi in due squadre, seguendo precise indicazioni dettate da schede tecniche, prima sotto gli ordini di un assistente, poi dell’artista stesso. Adesione entusiastica: ne bastavano otto ma in un battibaleno di studenti se ne erano presentati il doppio. Entusiasmo che a mio avviso si nutre di svariate motivazioni… Certo è che il fascino di stare dentro le fasi dell’allestimento di una esposizione importante, anche per gli addetti più sgamati, è potentissimo. Vedevo Daria, curatrice, saltare di gioia come una bambina la notte di Natale all’apertura delle perfette e sofisticatissime casse blu (sciccosissime) per estrarne cose come la vera copia della Gioconda di Duchamp (origine di tutto lo sperdimento e le possibilità dell’arte del novecento). (Ti rendi anche immediatamente conto di come sia uno skill tutto italiano  quando osservi lavorare gli operai di queste ditte specializzate in trasporti di opere d’arte: innamorati del loro mestiere, affidabili, geniali e di delicatezza suprema).

Altro motivo: c’è una discreta soddisfazione a mettere le mani su una icona così importante e ingombrante e farne scempio. Stessa soddisfazione per grandi e piccini: l’artista sarà autorizzato dalla pratica concettuale, gli studenti dalla loro gioventù, a farci finalmente i conti e uccidere il padre una volta per tutte. O, peggio, umiliarlo nella trasformazione in ambiguo e plasticoso bambolotto iperpop. E chissà se questo David mutante, imbarazzante gigante rosa, genererà a sua volta orde di cloni di minori dimensioni che andranno a ricongiungersi all’orrido esercito dei souvenir da bancarella. Chissà.

Comunque, prossimamente andremo con gli allievi dal mio negozio di fiducia (a Firenze: la mesticheria) a scegliere i colori campionati dall’artista. E non vedo l’ora di dire al buon bottegaio fiorentino, custode della antica tradizione alla Cennino Cennini, su che cosa andranno applicati…

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