“Articolo?” La guardia sprofondata dietro la scrivania ha l’aria annoiata. “Che articolo?” rispondo. “Come entri? Sei n’articolo 17, ‘n volontario… o che?”. “No, no, sono un insegnante: entro per la scuola” dico, quasi sentendo di dover discolparmi chissà per che cosa. E invece: “ ’A scola? Pure la scola glie fate a questi?”. Certo, pure la scuola. Come amava ripetere Materazzi, storico coordinatore del nostro gruppo di insegnanti, i detenuti vogliono andare in chiesa, lavorare, stare con la famiglia e, appunto, studiare. Quattro cose che, quando erano in libertà, neanche prendevano in considerazione. O le aborrivano del tutto. Dentro, invece …

Bisogna considerare che l’evasione e la latitanza, così diffuse in film e romanzi (quasi tutti piuttosto inverosimili), sono molto improbabili nella realtà. Soprattutto oggi, con i mezzi di controllo che ci sono. Ricordate Papillon che contava le onde o Clint Eastwood che preparava la fuga da Alcatraz spargendo nel cortile l’intonaco che grattava facendo un buco nella sua cella? Ebbene, anche oggi chi è recluso non può che aspirare al ritorno in libertà, naturalmente. Ma impiega tutto il proprio ingegno non tanto nell’annodare le lenzuola, quanto nel trovare il modo di usufruire dei benefici della legge. Si parte dai permessi, per giungere al lavoro esterno, l’affidamento ai servizi sociali, la semilibertà, la condizionale, i domiciliari. Tutto pur di uscire, giustamente.

E allora anche frequentare la scuola può essere una nota di merito che va ad arricchire la “sintesi”, cioè la relazione che l’educatore di riferimento istruisce e redige con l’equipe: Direzione, Polizia penitenziaria, psicologo, medico, assistente sociale. Tutti a monitorare l’evoluzione della personalità del detenuto, che poi il Magistrato di Sorveglianza deve considerare per decidere sull’ammissione ai benefici.

Certo, non si può generalizzare: c’è chi va a scuola solo per uscire dalla cella (soprattutto nelle carceri dove si sta chiusi 22 ore su 24, tanti in spazi angusti).

Da noi, al Penale, i detenuti sono liberi di girare per le sezioni e nel grande giardino dell’“aria verde”. In gran maggioranza preferiscono starsene per conto loro a parlare di rapine e criminalità. Chi viene nell’area delle scuole, lo fa per scelta. Qualcuno si limita a un fugace passaggio solo per avere la presenza, che viene retribuita con qualche spicciolo. In classe, non tutti sono attentissimi: c’è chi dorme sul banco, dopo aver passato la notte arrovellato da chissà quale pensiero. Eppure c’è anche qualcun altro, sparuta minoranza di enorme valore, che scopre un’inedita, imprevedibile passione per lo studio, la cultura, i libri. Sono quei pochi che ce la possono fare, possono cambiare vita, non ricadere nella recidiva, smettere di far reati e avviarsi a una vita nuova, piena di stimoli e di opportunità. È la lettera del dettato costituzionale sul reinserimento sociale del condannato. 

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