Ormai ci siamo. Nei prossimi giorni il Parlamento ed il Governo, nomineranno i membri ed il Presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (n.d.r. oltre a quelli del Garante per il trattamento dei dati personali e la riservatezza).

Quando, esattamente, ciò avverrà e chi sono i candidati ancora (quasi) nessuno lo sa, dato che, secondo un copione già visto e nonostante le tante richieste di trasparenza di centinaia di migliaia di cittadini, parlamento e governo continuano a trattare le nomine dei membri dell’Autorità come un fatto privato del quale discutere in gran segreto tra amici e compagni di merenda.

Il punto, tuttavia, è un altro.

Il Governo dei Professori, infatti, con il decreto “salva Italia” si è, probabilmente, lasciato prendere un po’ troppo la mano dai “tagli”, nell’errata convinzione che il futuro del Paese dipenda solo dai bilanci e sforbiciando, sforbiciando, nel tentativo – pure lodevole – di contenere i costi, ha, tra l’altro deciso di abbattere da otto a quattro il numero dei membri dell’Auorità per le garanzie delle comunicazioni.

Sfortunatamente, tuttavia, tale decisione produce – come puntualmente già rilevato – conseguenze che vanno ben al di là degli auspicati risparmi di spesa e minaccia di produrre uno scenario non sostenibile in termini democratici e che potrebbe compromettere l’indipendenza dell’azione dell’Autorità. È una questione di numeri e voti che, forse, è sfuggita al Governo dei professori più bravo a far di conto quando si parla di economia e denaro che di democrazia.

Prima del decreto “Salva Italia” i membri dell’Autorità Garante erano otto, quattro eletti dalla Camera dei Deputati e quattro eletti dal Senato e ciascun Deputato e Senatore doveva esprimere due preferenze, una per ciascuna delle due Commissioni nelle quale si articola l’Autorità medesima.

Dopo il decreto “Salva Italia”, i membri dell’Autorità Garante sono quattro, due eletti dalla Camera dei Deputati e due dal Senato mentre ciascun Deputato e Senatore continua a dover esprimere due preferenze, una per ciascuna delle due Commissioni che operano in seno all’Agcom ed alle quali competono importanti competenze e responsabilità.

Apparentemente il ridimensionamento dei membri dell’Auoritá, sembra non incidere sulle nomine né sugli equilibri e, probabilmente, così devono aver pensato anche i Professori di Palazzo Chigi.

Così, sfortunatamente, non è.

La riduzione a quattro dei membri dell’Autorità in assenza di qualsivoglia modifica del meccanismo di voto (due preferenze per ogni deputato e senatore), comporta come conseguenza che la maggioranza parlamentare è, oggi, in condizione – in linea teorica – di nominare tutti e quattro i membri dell’Autorità laddove, nel passato – giusto o sbagliato che fosse – i membri erano necessariamente il risultato di una “spartizione” tra maggioranza ed opposizione.

È un fatto non secondario perché significa che un’Autorità amministrativa sulla carta indipendente come Agcom – che, peraltro, è chiamata a svolgere un ruolo tanto centrale nel futuro del Paese – rischia di divenire una naturale espressione della stessa maggioranza politica che sostiene l’Esecutivo. A quel punto, tanto varrebbe – nell’ottica di contenere almeno la spesa – azzerare l’Autorità, smantellandola e demandare le sue funzioni ad un qualsiasi dipartimento di Palazzo Chigi.

Pare proprio che il Governo dei Professori abbia sbagliato a fare i conti, o, almeno gli abbia fatti – auguriamoci senza malizia anche se l’errore resta grave – in modo tale da esporre a rischio anche quel minimo di apparente indipendenza che la legge dei numeri, ha sin qui garantio – almeno sulla carta – all’Agcom.

È un pastrocchio al quale è urgente porre rimedio prima che sia troppo tardi – ovvero che si nomino i nuovi membro – perché l’Autorità che verrà sarà quella che governerà l’informazione in vista delle prossime elezioni, si occuperà dell’annosa ed irrisolta questione delle frequenze tv, della disciplina del diritto d’autore online e, soprattutto, del tema – ormai divenuto improcrastinabile – dello sviluppo dell’infrastruttura di banda larga.

Una super-autorità, davvero troppo importante per il futuro del Paese, per lasciare che sia alle dipendenze della maggioranza parlamentare.

Bisogna mettere mano, subito, alle regole, avviare un ciclo di consultazioni pubbliche e trasparenti come, segnalato, di recente, da Antonio di Pietro in risposta ad una richiesta in tal senso da parte della società civile e oggi, richiesto anche dal Pd in una mozione in Parlamento e soprattutto ristabilire l’equilibrio perduto nelle dinamiche di nomina e nella governance dell’Autorità.

I numeri dl bilancio sono importanti ma non sono i soli numeri dai quali dipende il futuro del Paese.

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