Il procuratore capo di Bologna, Roberto Alfonso, ha lanciato un appello alla società civile modenese e alle istituzioni. Dopo le ordinanze di arresto di ieri nei confronti di nove presunti appartenenti al clan dei Casalesi, Alfonso auspica che “in seguito a questa ondata di arresti la società civile modenese si svegli e comprenda che il fenomeno mafioso non può essere contrastato solo grazie al lavoro della magistratura”.

Le ordinanze di custodia cautelare, firmate dal gip di Bologna Andrea Scarpa su richiesta del sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia Enrico Cieri, si riferiscono al ruolo di intermediari dei nove arrestati nelle presunte richieste di crediti da imprenditori della provincia di Modena per conto di altri imprenditori; su di loro grava il sospetto di appartenenza al clan dei casalesi, infatti alcuni si dichiaravano uomini di “Sandokan” Schiavone. Le ipotesi di reato, formulate nel corso di un’inchiesta partita nel luglio 2011 e condotta dai carabinieri della compagnia di Sassuolo, comprendono l’estorsione e la rapina aggravate dall’uso delle minacce, delle armi e del metodo mafioso.

Roberto Alfonso spiega che “nella provincia di Modena la mafia è perfettamente infiltrata. Ci sono i Casalesi che compiono estorsioni in grande stile”. E poi la stoccata alla società civile e ai Comuni, che dovrebbero “svegliarsi” e comprendere che la magistratura da sola non può sconfiggere la criminalità organizzata. “I Comuni – continua Alfonso – potrebbero pensare di costituirsi parte civile nei processi di mafia. Inviterei poi i cittadini a stare più attenti, è un discorso di legalità”. E poi, il procuratore capo di Bologna si domanda: “come si fa a non ammettere la presenza della criminalità organizzata in regione? Ora è impossibile, qualche anno fa poteva essere comprensibile, oggi non più”.

La situazione che si sta creando in Emilia Romagna è “la stessa che emerse al sud per molti anni – continua Alfonso -: non si voleva ammettere la presenza della mafia, ma poi quando la malattia era troppo avanti, in metastasi, è stato un obbligo”. Il magistrato invita anche gli imprenditori e le associazioni di categoria “a fare attenzione e denunciare i fatti, perchè ormai la mafia c’è, è innegabile”. Il procuratore sottolinea che la “collettività deve capire che la lotta non può essere portata avanti solo dalla polizia giudiziaria e dalla magistratura. O si è tutti assieme o la battaglia è perduta”.

L’operazione antimafia di ieri ha condotto in carcere otto persone, mentre uno dei destinatari del provvedimento si è reso latitante: tutti di origine campana ma trapiantati da anni in Emilia, dove hanno operato per lo più nel settore dell’edilizia all’interno del comprensorio della ceramica. Si tratta di Antonio e Renato Corvino, nati rispettivamente nel 1980 e nel 1966 a San Cipriano e a Casal di Principe ed entrambi residenti a Cavezzo (Modena), Biagio Del Prete, 58 anni, originario sempre di Casal di Principe per quanto da anni viva a Finale Emilia, Angelo Lanno, 36, di Atripatria e residente a Novi di Modena, e Luigi Melucci, classe 1967, che da Villa Briano (Caserta) si è trasferito a Mirandola. Tra i restanti arrestati risultano Enrico Palummo, nato a Napoli 25 anni fa e attualmente residente a Soliera, Francesco Pellegrino, del 1954 e d’adozione modenese dopo essere giunto da Villa di Briano, e infine Massimiliano Risi, 41 anni, l’unico a essere nato in zona, a Carpi, dove vive ancora.

A loro si sarebbe risaliti dopo una prima denuncia presentata la scorsa estate da un piccolo imprenditore nato sempre in Campania, ma che vive in zona da molto tempo. In base alle dichiarazioni affidate agli inquirenti, sarebbe stato oggetto di pressioni sempre più pesanti per la restituzione di un debito che doveva essere recuperato da alcuni dagli arrestati. I quali, per intimidirlo e per indurlo a pagare senza colpo ferire, gli avrebbero fornito un pedigree camorristico pesante: l’affiliazione al clan dei casalesi e una conoscenza diretta con “Sandokan”, al secolo Francesco Schiavone, condannato all’ergastolo con sentenza divenuta definitiva nel 2008, conclusione giudiziaria del maxiprocesso Spartacus.

Articolo Precedente

Bologna, 10mila in piazza con la Cgil. “No a questa riforma del lavoro”

next
Articolo Successivo

Bologna, la scuola cambia nome: da Dante diventa Fabrizio De André

next