È degna di un romanzo d’appendice di fine ’800 la storia delle orfanelle Galletti Abbiosi. Gli elementi ci sono tutti: il rigore quotidiano scandito dalla preghiera e dal lavoro, tra maltrattamenti e privazioni, nel quale erano costrette a vivere tante bambine sfortunate, un conte dal cuore buono che lascia in dono tutti i suoi averi e i poteri forti della città, di ieri e di oggi, chiamati a prendersene cura, rispettando la volontà testamentaria del nobile defunto.

Per capire meglio i fatti occorre tornare indietro al 1867, quando il conte Carlo Galletti Abbiosi, uomo di profonda fede cattolica, sposato alla contessa Gertrude Lovatelli, morì senza lasciare eredi. Il conte, un notaio,  aveva curato il proprio testamento nel minimo dettaglio e in particolare si era preoccupato di garantire un tetto e assistenza alle bambine più povere della città, creando un orfanotrofio che le ospitasse proprio in quel palazzo della centralissima via di Roma, dov’era la sua dimora.

Le bambine alloggiate nell’orfanotrofio tra gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso oggi sono anziane signore. Dal dimenticatoio la vicenda di cui sono state protagoniste è salita agli onori della cronaca quando, nel 2009, una ventina di loro (ora sono 130) ha intentato una causa, al fine di vedersi riconosciuta la qualità di eredi e la restituzione conseguente dei beni del conte, nei confronti della fondazione Istituzioni di Assistenza Riunite Galletti Abbiosi, Mons. Giulio Morelli, Pallavicini Baronio, presieduta dall’arcivescovo di Ravenna Giuseppe Verucchi. Mercoledì 18 aprile, al tribunale di Ravenna, si terrà la sesta udienza del processo.

Il testamento. In ottemperanza alla volontà del conte, il 5 aprile 1877 un regio decreto sancì la nascita dell’orfanotrofio femminile di Ravenna, ma ci vollero altri 20 anni, perché la casa d’accoglienza, gestita da suore, entrasse in funzione. Nel 1897 arrivarono le prime bambine. Per provvedere al loro mantenimento il conte stabilì che si utilizzassero i proventi dei suoi poderi. Negli anni successivi non mancarono tante donazioni di altre famiglie abbienti.

Il conte indicò sei soggetti come amministratori del lascito: il vescovo, il sindaco, il presidente della Cassa di risparmio di Ravenna (le competenze di quest’ultima sono ora confluite nella fondazione Cassa di Risparmio), il primo massaro della Casa Matha (antichissima corporazione di pescatori risalente al 943 d.C, oggi vicina alla massoneria), il parroco pro tempore della chiesa di San Pietro Maggiore e il canonico più anziano della Metropolitana. Tutti i poteri della città erano e sono coinvolti.

Il testamento, datato 13 giugno 1864, contiene una clausola risolutiva riguardante l’orfanotrofio. Il paragrafo 10 comma s stabilisce che gli amministratori non avrebbero mai potuto congiungerlo, concentrarlo e incorporarlo con altro istituto, né privato, né di pubblica beneficenza. Nel caso questo fosse accaduto, il conte prescrisse chiaramente, al paragrafo 11, che la sua stessa eredità o il compendio dei beni facente parte della dotazione dell’orfanotrofio cessasse di appartenere agli amministratori e fosse devoluto a tutte le alunne presenti all’epoca degli accadimenti.

Il ruolo delle amministrazioni. L’8 febbraio 1994 molti dei consiglieri comunali tuttora attivi nella vita politica ravennate (tra costoro c’era anche Vasco Errani) votarono a favore dell’istanza di fusione delle Ipab (istituzioni pubbliche di beneficenza e assistenza) “Mons.Morelli” e “Galletti Abbiosi” ma -sostiene Pietro Vandini del Movimento 5 Stelle di Ravenna- “nessuno ha mai ammesso che quella, sebbene la legge  lo permettesse, era l’ennesima infrazione delle volontà del conte”.

La definitiva fusione delle strutture avvenne con la delibera regionale del 17 maggio 1994, a firma dell’allora presidente della giunta regionale Pier Luigi Bersani.

“In aggiunta a tale violazione -denuncia Chiara Boschetti, uno degli avvocati delle orfanelle- va detto che il conte voleva che le rendite fossero reinvestite, invece la fondazione ha provveduto a vendere molte proprietà, poi ricomprate da chi ne ha curato la cessione, spesso a prezzi fuori mercato”.

La causa civile. Il fattoquotidiano.it ha tentato di contattare i legali della fondazione, ma il pool di avvocati formato da Roberto e Riccardo Pinza, Franco Cini e Rita Rolli non intende rilasciare dichiarazioni su una causa che attualmente è al vaglio della magistratura.

La linea difensiva è comunque chiara: la dichiarò il sindaco di Ravenna Fabrizio Matteucci, già nel febbraio del 2010, quando fu ospite della trasmissione “Chi l’ha visto?”, assieme a una rappresentanza di orfanelle, a Enrico Maria Saviotti avvocato e portavoce dell’arcivescovo e a Paolo Bezzi, primo massaro (ovvero presidente) della Casa Matha.

“La fondazione Galletti Abbiosi -affermò il sindaco- insieme alle fondazioni con cui si è unita ha continuato negli anni a utilizzare le risorse messe a disposizione con il testamento del conte per finalità sociali. Il codice civile dice che nel tempo ciò che conta è la reale interpretazione della volontà testamentaria e la vera volontà non era distribuire soldi alle orfanelle, ma continuare a utilizzare quel patrimonio per fini molto simili”.

“Il sindaco è abbastanza informato da essere in malafede” commenta l’avvocato Boschetti. “La fondazione non dà soldi a nessuno. Ad essa appartiene il palazzo delle suore di carità, in via Guaccimanni 42, dove si trova una piccola casa famiglia che alloggia non più di 3-4 bambini in affido dal tribunale. Per ognuno di loro il Consorzio dei servizi sociali (quello di cui si scoprì nel 2010 un buco nel bilancio di 9,5 milioni di euro) versa alle casse della fondazione più di 2500 euro al mese. Insomma –si domanda Boschetti- dov’è la beneficenza che farebbe la fondazione? Al sostentamento dei minori ci pensa il consorzio, alla scuola materna Morelli si accede pagando una retta e anche la casa di riposo Pallavicini-Baronio è a pagamento e neppure a buon mercato”.

“La fondazione Galletti Abbiosi –prosegue l’avvocato- ha un’utile milionario. Nello stato patrimoniale attivo al 31/12/2006 vantava 3 milioni di euro in titoli, azioni e liquidi, mentre decine di milioni valgono i terreni e i 30 immobili, tra i quali spicca il palazzo di via Roma, stimato oltre 8 milioni di euro. Nonostante queste cifre, tra le voci di spesa del bilancio 2007, solo 814 euro erano annotati per la beneficenza. Ad oggi la fondazione riesce ad attrarre ingentissimi finanziamenti pubblici, donazioni e lasciti testamentari, ma non eroga alcun servizio gratuitamente. La prova di ciò –conclude Boschetti- è per buona parte documentale ed è all’interno del fascicolo n.1395/09 R.G., depositato al Tribunale di Ravenna. Al giudice Sereni Lucarelli serve però avere il coraggio e la forza di aprirlo”.

Il processo penale. Nel 1975 l’orfanotrofio Galletti Abbiosi chiuse i battenti, ufficialmente perché l’immobile aveva bisogno di una ristrutturazione. A quel tempo ospitava solo 5 ragazze e poche suore, ma in 78 anni di vita entrarono e uscirono da quell’istituto 339 bambine.

Il palazzo rimase chiuso fino al 2000 quando, ristrutturato grazie ai fondi speciali per il Giubileo, riaprì come ostello per pellegrini. Nel 2004, siccome i proventi dell’ostello erano ritenuti scarsi, venne trasformato in un vero e proprio albergo, gestito dal 2005 da una società privata, la Ayr di Raffaele Calisesi, che ottenne l’affitto della struttura a un prezzo molto contenuto, rispetto al valore e alla capacità ricettiva. Oggi il Galletti Abbiosi dell’ostello conserva solo il nome: ha soffitti affrescati, una sala riunioni per 60 persone e un’area attrezzata per il fitness. Il minimo che si può spendere per una singola è 49 euro a notte.

I reati ipotizzati dalla Procura di Ravenna, che ha iscritto nel registro degli indagati il vescovo Verucchi, assieme a monsignor Guido Marchetti, tesoriere della curia e a Calisesi, sono malversazione ai danni dello Stato e falso ideologico. I fondi del Giubileo, stando ai vincoli posti dalla normativa, avrebbero dovuto essere impiegati per ristrutturare l’ex orfanotrofio in vista di una sua utilizzazione prima come ostello per pellegrini, poi come residenza universitaria a prezzi agevolati.

Nel gennaio del 2007 l’Ayr e il Comune firmarono una convenzione per la gestione della struttura ricettiva da parte di privati. L’ultimo passo avvenne, nel luglio del 2009, con l’approvazione in consiglio comunale della variante al regolamento urbanistico edilizio, che rese possibile aumentare in via di Roma il numero di hotel presenti. Si trattò in sostanza del passaggio tecnico-amministrativo che permise alla struttura di diventare un albergo, senza violare le pianificazioni commerciali e urbanistiche in vigore.

Il secondo reato ipotizzato dalla procura, ossia il falso ideologico, si fonda sulla richiesta della fondazione, avanzata il 22 giugno 2007 al Comune, di cambiare la destinazione d’uso dell’ex orfanotrofio da edificio per edilizia sociale a immobile destinato a struttura ricettiva-alberghiera.

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