E’ salito sulla sua barca, ha preso una corda, l’ha annodata attorno all’arco e ha tentato di farla finita, ma la piccola tettoia che copre la poppa ha lasciato intravedere ad altri pescatori quello che stava accadendo, così i colleghi sono intervenuti e l’hanno salvato. E’ accaduto a Porto Garibaldi, nei lidi di Comacchio (Ferrara), domenica scorsa.

Il pescatore – riferisce la Nuova Ferrara – proprietario di un piccolo peschereccio, da mesi non riusciva più a guadagnare il necessario per mantenere la famiglia, pagare la nafta e le bollette, e si è ritrovato sommerso dai debiti. I colleghi, oltre a salvarlo, sono intervenuti economicamente, mettendo insieme diecimila euro per permettergli di pagare i debiti più urgenti.

Una storia di disperazione che va ad aggiungersi ad altre accadute tra i lavoratori, spesso piccoli proprietari, di un settore come quello ittico, che più di ogni altro sta subendo i contraccolpi della crisi economica che ha investito il nostro paese. E’ storia di questi giorni, sempre a Porto Garibaldi, quella di un altro pescatore che si è visto sequestrare la sua imbarcazione perché aveva un debito di 30mila euro e che ora difficilmente potrà ricominciare anche solo a ripianarlo visto che è rimasto senza imbarcazione con cui lavorare.

La situazione tra i pescatori a Porto Garibaldi è drammatica. E’ da diversi mesi che interi gruppi familiari stanno chiedendo aiuto, non avendo ancora ricevuto i soldi del fermo pesca (con cui il governo ha imposto alle barche di restare in porto per permettere il ripopolamento ittico) e non riuscendo a uscire in mare per le più semplici ragioni anche solo quella del carburante, schizzato a prezzi altissimi. “Gli aumentati costi del gasolio dovrebbero essere riconosciuti dallo Stato nella denuncia dell’Iva e quindi rimborsati”, aveva spiegato al fattoquotidiano.it nel gennaio scorso Sergio Caselli, responsabile di Lega Pesca Emilia-Romagna, “ma resta il fatto che per chi ha una o più barche le spese per la nafta costituiscono un esborso notevole, con tempi di recupero del credito che possono diventare molto lunghi”.

Crescono i suicidi tra chi si ritrova improvvisamente disoccupato. Quello dei suicidi al tempo della crisi è un tema entrato ormai di prepotenza nelle cronache quotidiane nel nostro Paese. Ormai da tempo. Infatti, chiarisce il Secondo Rapporto dell’Eures, soltanto nel 2010 sono stati 362 i suicidi dei disoccupati, superando ulteriormente i 357 casi registrati nel 2009, che già rappresentavano una forte impennata rispetto ai 270 accertati in media nel triennio precedente (rispettivamente 275, 270 e 260 nel 2006, 2007 e 2008), a riprova della correlazione tra rischio suicidario e integrazione nel tessuto sociale.

Tra i disoccupati, informa lo studio, la crescita riguarda principalmente coloro che hanno perduto il lavoro (272 suicidi nel 2009 e 288 nel 2010, a fronte dei circa 200 degli anni precedenti), mentre meno marcato appare l’incremento tra quanti sono alla ricerca della prima occupazione (85 vittime nel 2009 e 74 nel 2010, a fronte delle 67 in media nel triennio precedente). La crescita dei suicidi dei disoccupati tra il 2008 e il 2010 si attesta complessivamente al 39,2% del totale, salendo al 44,7% tra quanti hanno perduto il lavoro.

Considerando la sola componente maschile, l’aumento dei suicidi dei senza lavoro appare ancora più preoccupante (da 213 casi nel 2008 a 303 nel 2009 a 310 nel 2010), attestandosi a +45,5% tra il 2008 e il 2010, confermando così la centralità della variabile occupazionale nella definizione dell’identità e del ruolo sociale degli uomini, messo in crisi dalla pressione psicologica derivante dall’impossibilità di provvedere e partecipare al soddisfacimento dei bisogni materiali della famiglia.

Il primato dei suicidi dovuti alla crisi al Centro Nord. Sono aumentati nel 2010 i suicidi nelle regioni del Centro-Nord, ma a livello territoriale il triste primato se lo è aggiudicato la Lombardia (con 496 casi, +3% rispetto al 2009), seguita dal Veneto (320, pari al 10,5% del totale, con un aumento del 16,4% sul 2009) e l’Emilia Romagna (278, 9,1%). Questi alcuni dei dati contenuti nel Secondo Rapporto Eures su ‘Il suicidio in Italia al tempo della crisi.

Oltre la metà dei suicidi censiti in Italia, informa lo studio, avvengono in una regione del Nord (1.628 casi nel 2010, pari al 53,4% del totale), a fronte del 20,5% al Centro (624 casi) e del 26,1% al Sud (796 casi). Anche in termini relativi il Nord conferma i valori più alti, con 5,9 suicidi ogni 100 mila abitanti, a fronte dei 5,3 del Centro e dei 3,8 del Sud. Ma è il Centro Italia a registrare nel 2010 la crescita più consistente (+11,2% sul 2009, che sale a +27,3% nel Lazio, con 266 suicidi), a fronte di un +1,8% a Nord e di un calo del 3,5% al Sud. In termini relativi (media 2006-2010) è tuttavia la Valle d’Aosta a guidare la graduatoria del rischio suicidario (con 9,2 suicidi ogni 100 mila abitanti), seguita dal Friuli Venezia Giulia (9) e dalla Sardegna (8,9). A livello provinciale (media 2006-2010) il valore più alto si rileva a Vercelli (15 casi per 100 mila abitanti), Belluno (12,9), Ogliastra e Sondrio (12,7), mentre il valore più basso si rileva a Napoli (1,1).


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