Eravamo al bar quando Catia mi ha chiesto “E adesso, come farò?”
“Come farai a fare cosa?”, le rispondo io.
“Come farò a mandare mio figlio a scuola, alla scuola materna”.
“Beh, sei precaria, hai un marito precario, hai un indicatore di reddito molto basso, vivi in affitto, tuo figlio a settembre avrà già compiuto tre anni da un po’… accoglieranno la tua domanda d’iscrizione alla scuola pubblica”.
“Veramente no, non l’hanno preso. Sono troppo precaria, con un lavoro troppo flessibile e periodi di disoccupazione troppo ampi tra un impiego e l’altro. Mio figlio resta fuori. Come è successo per il nido, così per la materna. Per il terzo anno di vita consecutivo, per lo Stato, Adriano non ha diritto a frequentare una scuola pubblica”.

Resto senza parole. Io conosco Catia da una vita, conosco il suo impegno, come mamma e come professionista. Ho assistito, da quando è nato Adriano, alle acrobazie per crescere suo figlio in prima persona, senza nido, senza tate, senza Stato. Tre anni vissuti con lui e per lui, circondata dall’affetto del suo welfare tutto speciale, quello degli amici immancabili, babysitter improvvisati e sinceri, che si alternavano nella cura di Adriano quando mamma Catia andava a lavorare. Tre anni di sacrifici e rinunce, che hanno permesso ad Adriano piccolo, troppo piccolo, di costruirsi quel bagaglio emotivo che l’avrebbe accompagnato sereno fino alla materna. Perché a tre anni si è finalmente pronti a giocare e a imparare condividendo.

E allora Catia ci sperava davvero che lo prendessero a scuola. E non solo per quel che comunemente si pensa, e cioè per consentire ai genitori di lavorare, ma perché, al contrario degli anni precedenti, leggeva nelle parole del figlio l’entusiasmo consapevole per questa nuova avventura. Lui era finalmente pronto, ma lo Stato non era pronto per lui.

Nei mesi scorsi Catia, che ha presentato domanda sia per la materna statale che comunale, ha passato ore ai servizi sociali prima di avere un appuntamento con un’assistente a cui spiegare la sua condizione. Un giorno sì e un giorno no, per dieci giorni consecutivi, prima di accaparrarsi quel numeretto (ne danno solo quattro ogni mattina) e ottenere così un colloquio. Fino a quando è riuscita a conquistare un appuntamento e dopo sette ore di fila, modello lsee e documenti alla mano, è riuscita a motivare la sua richiesta. Ha detto all’assistente sociale che di quella scuola lei e il compagno avevano bisogno proprio perché, essendo precari e passando spesso da un impiego all’altro, la possibilità di avere ore libere per loro significa mobilità sul lavoro e quindi maggiori entrate. Con un reddito ridicolo e vivendo in affitto, secondo l’assistente sociale avrebbe avuto un buon punteggio per accedere alla scuola comunale. Per la statale invece era praticamente già fuori perché i criteri nell’assegnazione dei punteggi sono diversi e suo figlio non aveva i requisiti richiesti.

Quando sono uscite le graduatorie, qualche giorno fa, Adriano era invece stato tagliato fuori. “E pensare che, non essendo sposata, mi avevano addirittura “consigliato” di togliere il mio compagno dallo stato di famiglia, così da ottenere più punti. Ma non me la sono sentita, e non perché sono troppo onesta, ma perché sono onesta punto e basta. E poi Simone è un padre magnifico e per niente al mondo lo avrei svilito in questo modo”.

Catia vive nel municipio di Roma XIII, sul mare di Roma. E’ lo stesso municipio dove la giunta locale del Pdl, con il beneplacito di quella capitolina, vorrebbe realizzare un impianto sciistico del valore di 1,6 milioni euro, in area demaniale. Il progetto è piaciuto così tanto ad Alemanno che è già stato inserito nel bilancio di previsione 2012 del Campidoglio.

Quanti bambini il Comune di Roma riuscirebbe a mandare a scuola con 1,6 milioni di euro? Sindaco, ce li dica lei se sa fare bene i conti. Ma questa volta risponda.

Per Adriano non resterebbe che una scuola privata. Per una spesa mensile a partire dai 350 euro. Praticamente un controsenso, una presa per i fondelli, considerato l’indicatore di reddito che Catia ha consegnato insieme alla domanda. Questa è la storia di Adriano, che ha tre anni e non andrà alla materna comunale. In compenso, per lui e per tutti i bambini come lui, il Sindaco ha previsto una bella pista da sci dove trascorrere le giornate.

“Il dolore più grande che mi sta accompagnando in questi giorni – mi dice Catia – è quello di dover spiegare a mio figlio che non posso permettermi di mandarlo a scuola”.

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