In preda a un’evidente crisi d’astinenza mediatica, Daniela Santanchè ha prodotto l’ennesimo sproloquio, questa volta dedicato all’esilarante equazione Iotti-Minetti. Trovare l’intruso è piuttosto semplice, non val nemmeno la pena perderci tempo.

L’ex sottosegretario del governo Berlusconi ha esternato anche su Rosi Mauro, vicepresidente vicario del Senato della Repubblica. A cui il più eloquente complimento lo fanno Napolitano, Fini e Schifani evitando trasferte contemporanee all’estero, per non lasciare la già malconcia Italia in balia della badante-sindacalista. Punzecchia la Santanchè, ospite della “Zanzara” di Radio 24: “Rosi Mauro svolgeva il ruolo di badante, un lavoro molto prezioso per la Lega e doveva limitarsi a quello, non doveva avere mire politiche. Non la difenderei mai solo perché è una donna. Non è una questione di genere. Non ho mai sentito Rosi Mauro fare battaglie politiche, introdursi nell’agenda politica del paese”.
E aggiunge: “Visto che lei è una donna di partito e visto che Bossi ha chiesto un passo indietro dovrebbe dimettersi da vicepresidente del Senato. Ha preso il peggio degli uomini. Le donne quando credono di avere il potere vogliono diventare maschi, anche esteticamente, con l’arroganza, la maleducazione, nel modo di essere. Poi quando cadono in disgrazia se la prendono con i maschi e tornano donne”.

Quel che salta all’occhio da questo scampolo di misera polemica è il disarmante impoverimento della politica, che è soprattutto una questione di persone (maschi e femmine). Sempre più inadeguate, impreparate, ignoranti. E questo si evince anche dal fatto che nel momento più difficile del Paese, la politica si mette in ginocchio, fa una riverenza e di buon grado abdica in favore di un gruppo di professori, presunti salvatori della patria. Lo svuotamento si capisce anche dal livello delle protagoniste di questa insulsa querelle: una Santanchè contro una Rosi Mauro.

Precisato tutto questo, la Rasputin in gonnella del governo Berlusconi, ha ragione su un punto. La vicenda della Nera di Gemonio non è affatto una questione di genere, a prescindere dalla quantità di femminilità che Rosi può incarnare (nulla, ma chissenefrega). Un politico è un politico: se l’italiano fosse dotato di un terzo genere – il neutro, come il latino – bisognerebbe usare quello. Si parla molto di quote rosa e di scarsa rappresentanza delle donne nei centri del potere. Vero, comunque un po’ meno che in passato, tant’è che la trattativa sulla riforma del mercato del lavoro la stanno facendo tre donne: Fornero, Camusso e Marcegaglia. Sabina Ciuffini ha dichiarato a questo giornale che per sovvertire un potere quasi completamente maschile le donne devono stringere un patto di ferro: “Abbiamo bisogno di tutte, comprese le stronze e le zoccole”. Una provocazione forte su un tema complesso.

Perché non c’è dubbio che le donne sono ancora marginali, troppo spesso davvero solo badanti (e non solo ai piani alti dei Palazzi del potere, ma nella vita di tutti i giorni). La parità vera sarà raggiunta quando ciascuna sarà scelta e giudicata in base a ciò che sa fare e alle idee che riesce a esprimere: non per le gambe, come diceva la canzone, ma nemmeno in base a un insultante criterio di minoranza. Che continuerà a rendere le donne subalterne, bisognose di tutela come una specie protetta o un popolo in esilio. Non c’è nessun merito né demerito nell’essere donna. Altrimenti finiremmo a votare Rosi Mauro o Daniela Santanchè perché sono donne: prospettiva non delle più rassicuranti.

Il Fatto Quotidiano, 15 Aprile 2012

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