Sono stato abbagliato da un lampo stamattina, è strano però è che veniva da dietro, non da davanti. Mentre giravo la testa quello mi ha superato schioccando le dita, così, come si faceva una volta.

Era fuori dall’angolo dei miei occhi e quando mi sono girato a guardarlo, era già sparito, ho sbuffato e sono ripartito. Tati, mi sono detto che doveva senz’altro essere lui e comunque io l’avrei chiamato, Jacques Tati.

Ci ho messo un po’ a riprendere il filo dei miei pensieri e quando ci sono riuscito stavo passando davanti ad una scuola, o forse era addirittura un asilo, all’ora dell’uscita dei bambini. I genitori che aspettavano avevano l’aria sostenuta, circostanziata, tenevano un contegno importante guardando come irritati da dietro le grandi lenti degli occhiali da sole e molti dei piccoli già assomigliavano loro, quasi che fossero scocciati di impiegare il proprio tempo con quella occupazione banale. Ho avuto la sensazione che i genitori, probabilmente in omaggio a una scala gerarchica mai scritta, ma ugualmente evidente e premiante, provassero anche un’intima soddisfazione data proprio dal tenere quell’atteggiamento.

Poi la sera ho incontrato Marcovaldo, suonava in una libreria, circondato da amici era felice come un matto per quello che stava facendo. Lo conosco bene, lui ai suoi figli ha dato i sogni che a loro veniva di fare e stranamente nessuno di quei sogni fa capo a un progetto. Ho avuto un amico che ha saputo realizzare molti dei sogni che ha voluto fare e anche qualcuno di quelli che gli è capitato di fare rimanendone conquistato. E’ stato bravo, non si è lasciato distrarre.
Io stesso sono riuscito a realizzare alcuni dei sogni che avevo e mi chiamo fortunato per questo, ma alcuni altri li avevo avuti leggendo, ma poi Salgari, non l’ho incontrato più. Fortunato, fortunatissimo.

Ma quali sogni abbia avuto l’uomo di 58 anni che si è dato fuoco davanti alla sede di Equitalia non lo sappiamo. Molti parlano del fatto, qualcuno del suo percorso, ma non ho sentito nessuno parlare dell’uomo che abbiamo perduto, perso anche se forse vivrà. Cosa sappiamo di quell’uomo bruciato, consumato come carbone, piaga viva nelle carni del nostro presente il cui dolore dovrebbe essere una ferita costante ad impedire qualsiasi speculazione, qualsiasi interesse di parte.
Non sappiamo nulla dell’uomo.

Quali sogni avesse quel vecchio bambino, quali sogni non riuscisse più ad avere, quali incubi l’hanno ucciso? A quale gara l’avevano iscritto? Quale penalità aveva meritato di vincere? E Brazil di Terry Gilliam o Metropolis di Fritz Lang sono davvero dei film di grandi sognatori o sono invece la realtà e quindi dei banali documentari? Che sogni stanno facendo i bambini oggi? Cosa sogneranno domani? Di quanto stiamo accorciando il loro orizzonte?

Mio nipote all’asilo era innamorato di una cinesina, i suoi migliori amici erano un rumeno e un marocchino, forse ce la fa, almeno fino a che non li svegliamo ce la fanno.  Possono gli androidi sognare pecore elettriche? Per addormentarsi gli schiavi contano pecore elettroniche?

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