Sostiene Carlo Ginzburg, autore di una lucida e documentata ricostruzione storica del processo Sofri, che ‘’uno storico ha il diritto di scorgere un problema, là dove un giudice deciderebbe il non luogo a procedere’’. La frase risuona più che mai attuale, dopo che la Corte d’assise d’appello di Brescia ha assolto Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi, Maurizio Tramonte e il generale dei carabinieri Francesco Delfino, nel quarto processo per la strage di Piazza della Loggia, che il 28 maggio del 1974 fece 8 morti e oltre cento feriti.

Subito dopo la lettura del dispositivo, il pm di Cremona Roberto Di Martino, che aveva chiesto l’ergastolo per gli imputati, ha infatti ammesso: “Ormai questa è una vicenda che va affidata alla storia, più che alla giustizia”. Dopo l’ennesima assoluzione caduta sul sangue della cosiddetta ‘’strategia della tensione’’, ecco che arriva l’ennesima dichiarazione di resa da parte di un magistrato che invoca l’intervento della storia laddove la giustizia non riesce a dipanare i misteri dello stragismo in Italia. Lo aveva già fatto nel 2004 il gip di Pavia Fabio Lambertucci, archiviando per insufficienza di prove l’indagine del pm Vincenzo Calia sulla fine del presidente dell’Eni Enrico Mattei, scomparso nell’ incidente aereo che Amintore Fanfani defini’ ‘’il primo gesto terroristico del nostro paese’’. Lambertucci, che non riteneva sufficientemente provata l’ipotesi di Calia sull’esplosione di una carica di esplosivo a bordo dell’aereo di Mattei, lo mise nero su bianco nel suo decreto: ‘’Su questa cruciale vicenda, potranno, d’ora in avanti, esercitarsi al più gli storici’’. Senza prova, infatti, ‘’la medesima vicenda per il giudice non può essere oggetto di ulteriore approfondimento’’, anche se ‘’per lo storico, il caso Mattei costituisce e continuerà a costituire un caso da indagare’’. Risultato? La morte di Mattei, nonostante gli indizi raccolti da Calia, per la giustizia italiana, resta ancora oggi un tragico incidente aereo. Così come la strage di piazza della Loggia, per l’autorità giudiziaria, è un eccidio senza colpevoli.

Senza le prove, certo, la giustizia è disarmata. E la conseguente pioggia di assoluzioni e archiviazioni impedisce all’opinione pubblica di chiudere i conti con una stagione segnata dal terrorismo, dai depistaggi dalle mille verità celate. Ma perché la prova diventa un traguardo irraggiungibile specialmente quando si tratta di processare i potenti? C’è un limite invalicabile, nell’azione giudiziaria, che impedisce di far luce sugli episodi che vedono coinvolti pezzi deviati delle istituzioni, generali dell’Arma, esponenti dei servizi segreti? ‘’I limiti ci sono – ammette Antonio Ingroia, procuratore aggiunto di Palermo – e stanno nella necessità di trovare prove concrete che riguardino responsabilità individuali in ordine a reati precisi’. Questione complicatissima quando si tratta di indagare su episodi criminali che si iscrivono in una stagione intrisa di interferenze politiche e manovratori occulti, sulla quale sin dai primi momenti sono calate nebbie e cortine fumogene finalizzate proprio a depistare l’accertamento della verità.

La storia, sembrano suggerire i magistrati, ha invece orizzonti più ampi. Non ha limiti temporali di ricerca. Ha una libertà assoluta nella raccolta della prova, che può essere utilizzata, a torto o a ragione, anche se proviene da informazioni confidenziali o da documenti contenenti dichiarazioni anonime. E non ha la necessità di provare la responsabilità personale, potendosi sempre appellare a quella collettiva, sociale, politica, di classe.  E difatti, ‘’sulla strage di Brescia la verità giudiziaria, dal punto di vista delle singole responsabilità, non l’abbiamo – dice Manlio Milani, presidente della Casa della memoria, che si è costituita parte civile – e abbiamo acquisito soltanto una verità storica sui fatti’’.

Dai limiti della giustizia, incapace di leggere compiutamente la stagione più sanguinaria della storia italiana, ci salverà dunque la storia? Il gip di Cremona Guido Salvini, che a Milano si occupò delle indagini sulle cosiddette ‘’trame nere’’, da cui nacquero le inchieste sulle stragi di Piazza Fontana, ritiene che ‘’le enormi fonti di conoscenza portate dalle indagini di Brescia e Milano, al di là degli esiti giudiziari, testimoniano comunque che la ricerca di una verità piena deve continuare”. Ma come dovrà continuare questa benedetta  ricerca? Senza l’impegno in prima linea della magistratura, come suggeriscono quegli operatori della giustizia che sembrano alzare bandiera bianca, delegando la ricostruzione dello stragismo ad altre metodologie e ad altri strumenti di analisi? Questo è il dilemma. Nel frattempo, Alfredo Bazoli, figlio di una delle vittime della strage di Brescia (e oggi consigliere comunale del Pd), intona un vero e proprio de profundis dell’azione giudiziaria: ‘’Questa assoluzione è l’epitaffio della vicenda processuale su piazza Loggia. Per noi familiari è un bel colpo, ma lo è anche per la giustizia italiana’’.

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