“E’ da un po’ di tempo che cerchiamo di eliminare la moneta da un centesimo, ma non ci siamo ancora riusciti; voglio scoprire chi sta facendo lobby per tenerlo in circolazione”, aveva detto Barack Obama a fine marzo 2008, quando non era ancora presidente degli Stati Uniti. Esattamente quattro anni dopo, il 29 marzo scorso, il ministro delle Finanze canadese Jim Flaherty ha annunciato che la Zecca Reale canadese interromperà la produzione della moneta da un centesimo perché è diventata troppo costosa. Negli Stati Uniti, al contrario, la stampa del centesimo prosegue a ritmo costante, nonostante che produrlo costi molto più di quello canadese. E Obama sembra averla vista lunga: le aziende interessate al business della monetina, infatti, spendono milioni di dollari per stringere i rapporti con Washington e influenzare le decisioni del Congresso.

La zecca americana stima che per realizzare una moneta da un centesimo, composta al 97,5 per cento da zinco, servono 2,4 centesimi, ben oltre gli 1,5 necessari per quella canadese. Documenti federali confermano che Jarden Zinc, il fornitore principale di zinco per la zecca americana, finanzia massicciamente attività di lobby, peraltro negli Stati Uniti previste dalle leggi, per influenzare il Congresso sulle “questioni legate alla moneta da un centesimo”. L’azienda, dal 2006, ha investito oltre 1 milione di dollari per stringere rapporti bipartisan con Washington e nel 2012 la spesa ha già raggiunto 60 mila dollari. Investimenti redditizi, considerando che l’anno scorso la società ha incassato 48 milioni di dollari dallo Stato per i rifornimenti di zinco. Jarden Zinc, tuttavia, non è l’unica impresa impegnata a difendere il business del penny. Anche Pmx Industries e Dillon Gage, che forniscono metalli per monete di diverso taglio, spendono ogni anno centinaia di migliaia di dollari in attività di lobbying.

L’aumento del costo dello zinco, come spiega il report annuale diffuso dalla zecca americana, ha fatto schizzare a 116,7 milioni di dollari la perdita causata dalla produzione di monete da uno e cinque centesimi nel 2011, oltre il doppio dei 42,6 milioni del 2010, che a loro volta erano raddoppiati dai 22 milioni del 2009. Il rincaro della produzione e la decisione recente del Canada hanno diviso l’opinione pubblica americana: c’è chi vuole eliminare il penny perché costa troppo e chi vuole tenerlo per evitare l’inflazione dovuta all’arrotondamento dei prezzi oppure, più semplicemente, perché è affezionato alla piccola moneta su cui è inciso il volto del 16esimo presidente americano, Abraham Lincoln.

Poco dopo che il Canada ha annunciato il ritiro della monetina, l’organizzazione a sostegno del penny, la Americans for Common Cents, ha giocato d’anticipo diffondendo un comunicato stampa secondo cui due terzi degli americani non intendono abbandonare il centesimo. La maggior parte dei sondaggi citati dal report, tuttavia, sono stati effettuati 12-20 anni fa. E al vertice dell’associazione, come facilmente immaginabile, risultano i principali lobbisti che rappresentano l’industria dello zinco.

“Il rincaro delle materie prime è una opportunità per il Congresso, che deve affrontare il problema al più presto”, ha detto Jeff Gore, professore di fisica al Massachusetts institute of Technology (Mit) e numero uno di Citizens for retiring the penny, una organizzazione impegnata nella lotta alla piccola moneta color bronzo. Non è d’accordo Mark Weller, direttore esecutivo di Americans for Common Cents, che ha affermato: “Con l’economia così debole eliminare la moneta da un centesimo è una delle cose peggiori che potrebbe accadere ai consumatori”. E ha aggiunto: “Ci sono stati sicuramente dei fattori che hanno allontanato gli americani da banconote e monete, ma molte persone, soprattutto i poveri, utilizzano ancora i contanti come metodo principale di pagamento e l’abolizione del penny li colpirebbe in misura sproporzionata”.

La lotta tra sostenitori e oppositori della moneta di piccolo taglio, tuttavia, non è un fenomeno soltanto americano. Australia e Nuova Zelanda, per esempio, si sono già disfatte della monetina negli Anni ’90. Anche in Europa il futuro del centesimo è tutt’altro che sicuro. Olanda e Finlandia hanno risolto il problema arrotondando i prezzi per chi paga in contanti (per eccesso o per difetto, in base alla cifra tonda più vicina). In Italia Giulio Tremonti, quando era ministro del Tesoro, ha parlato in diverse occasioni della possibilità di eliminare la monetina ramata e ha ammesso che l’argomento è stato affrontato anche con gli altri Paesi dell’Unione europea. E’ arrivato il momento di archiviare anche il più piccolo degli euro? Il Vecchio Continente, per adesso, non ha ancora preso una decisione comune. Ma l’ipotesi esiste e le prossime mosse di Washington, come accade spesso, potrebbero risultare determinanti.

Articolo Precedente

Istat: “La spesa a marzo è costata il 4,6% in più. E la benzina è salita ancora del 3,4%

next
Articolo Successivo

Lo spread torna a salire: chiusura a 379 punti Crolla la Borsa, Milano brucia 11 miliardi

next