Più di 30 milioni di euro sui conti svizzeri di due personaggi vicini a Comunione e Liberazione, l’ex assessore regionale lombardo alla sanità Antonio Simone e il procacciatore d’affari Pierangelo Daccò. Il primo è indagato e il secondo soltanto citato nell’inchiesta della procura di Milano sul crac del San Raffaele, e proprio dall’ospedale fondato da don Luigi Verzé sarebbe arrivata parte della somma. Lo rivela il settimanale l’Espresso, in edicola domani, in un’inchiesta di Paolo Biondani.

I due, molto vicini al presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, grazie alla loro attività nel settore sanitario, in vent’anni “si sono divisi più di 30 milioni di euro, ma la cifra totale, compresi gli investimenti tuttora in corso, potrebbe superare (e di molto) quota 50 milioni”, scrive l’Espresso. “I due ciellini hanno intascato buona parte di questo denaro per consulenze, mediazioni e progetti pagati da almeno tre grandi gruppi della sanità privata, tutti accreditati (e quindi rimborsati con fondi pubblici) dalla Regione Lombardia: San Raffaele, Fondazione Maugeri e Ordine dei Fatebenefratelli“.

Secondo la ricostruzione del settimanale, “di solito il contratto era intestato al solo Daccò, che poi girava circa un quarto della somma a Simone, ma con una fattura separata, segno di un lavoro autonomo”. E’ stata la Guardia di Finanza a trovare “le prime tracce dei due tesoretti analizzando i conti esteri che secondo l’accusa sono serviti a far sparire i fondi neri del San Raffaele”.

IL DISOBBEDIENTE

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