Non solo ”spettava” alla procura di Milano indagare sull’allora premier Berlusconi per un reato di natura “comune”, senza trasmettere gli atti al tribunale dei ministri, ma era “costituzionalmente obbligata” ad agire in questo modo. Lo afferma la Corte costituzionale, nelle motivazioni della bocciatura del conflitto sollevato dalla Camera sul caso Ruby. La Camera aveva sollevato il conflitto lamentando che non trasmettendo al tribunale dei ministri gli atti del procedimento che vede Berlusconi accusato di concussione (per la ormai famosa telefonata alla Questura di Milano in cui chiese il rilascio di Ruby, fermata per un furto, sostenendo che fosse la nipote di Mubarak), prima i pm e poi il gip di Milano, avevano leso le sue prerogative costituzionali; e questo perchè le avrebbero impedito di valutare la natura ministeriale del reato contestato all’allora premier ed eventualmente di negare l’autorizzazione a procedere.

Una tesi respinta dalla Consulta che nelle 41 pagine di motivazione (redattore della sentenza il giudice Giuseppe Teasuro) boccia anche l’argomentazione della Camera, secondo cui i magistrati avrebbero dovuto per lo meno avvertirla del procedimento a carico di Berlusconi. Quando si tratta di un reato comune, scrive al riguardo la Corte, “in difetto di una norma espressa, il Parlamento non ha titolo per pretendere che l’azione del potere giudiziario sia aggravata da un ulteriore adempimento”.

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