Non solo la posizione di Umberto Bossi, dei suoi familiari e di Rosi Mauro. Al centro degli accertamenti della Procura di Milano, titolare del fascicolo sulle distrazioni dei fondi della Lega Nord che sarebbero stati utilizzati anche per le spese personali di alcuni esponenti del Carroccio, ci sarebbero anche gli atti dell’inchiesta che “tirano in ballo” Roberto Calderoli, nominato nei giorni scorsi uno dei tre triumviri che devono reggere il partito dopo le dimissioni del leader, travolto dallo scandalo dei rimborsi elettorali ‘volati’ in parte anche verso la Tanzania e Cipro. Secondo gli inquirenti, l’ex ministro della Semplificazione avrebbe cercato di ‘coprire’ le attività dell’ex tesoriere Francesco Belsito. E non sarebbe stato l’unico, visto che anche su Piergiorgio Stiffoni (membro del comitato amministrativo) e Giancarlo Giorgetti si concentra il lavoro della Procura, che sta cercando di far luce su tutta una serie di possibili depistaggi. Per quanto riguarda Calderoli, sotto la lente degli investigatori ci sarebbe una telefonata tra l’ex ministro e l’avvocato di Belsito, Paolo Scovazzi. E’ il 24 febbraio scorso quando i due concordano la linea pubblica che Calderoli avrebbe dovuto seguire per rispondere alle domande di un giornalista del Secolo XIX di Genova sul caso dell’ex tesoriere. Nell’informativa della Dia, come è riportato oggi dal Corriere della Sera, è scritto a chiare lettere: “Si registra una conversazione tra l’avvocato Scovazzi e l’onorevole Calderoli – hanno scritto gli investigatori – il quale dovendo rilasciare una intervista al Secolo XIX concorda con il legale di Belsito gli argomenti da utilizzare per difendere lo stesso Belsito dagli articoli di stampa che lo attaccano”.

Un colloquio che gli inquirenti ricostruiscono sin nei minimi dettagli. E che mette l’accento sul tentativo dell’ex ministro di proteggere Belsito. “Calderoli dice che questa mattina il giornalista ha preteso un’intervista sulla questione, in un primo momento il suo addetto stampa aveva cercato di mediare – hanno scritto gli inquirenti – dicendo che sono due mesi che non rilascia dichiarazioni a nessun quotidiano nazionale, ma poi sempre Calderoli dice di aver riflettuto perché non usare l’intervista cercando di vendere le nostre buone ragioni”. L’avvocato dell’ex tesoriere, però, la pensa diversamente e nell’informativa il senso delle sue dichiarazioni è chiaro: difendere Belsito per difendere la Lega. “Scovazzi dice che secondo lui questa intervista che gli vogliono fare non la vogliono realizzare per sentire le loro buone ragioni, ma lo fanno solo per attaccarli, anzi gli chiederanno come mai la Lega non prende delle posizioni forti contro questo tale (Belsito) – scrive chi indaga – L’avvocato aggiunge che l’unica cosa che lui gli può dire e che in buona sostanza su tutte le vicende che riguardano Francesco (Belsito) hanno fatto dei processi dopo che i processi erano già stati fatti, perché relativamente ai fatti dei giorni scorsi, si tratta di due indagini archiviate”. Poi la conversazione si sposta su fatti e casi concreti, con Calderoli che concorda con Scovazzi ipotetici temi del caso Belsito da affrontare nell’intervista: “Fallimento, e non c’è mai stato un fallimento; per il titolo di studio è stato assolto in primo grado e successivamente è intervenuta comunque una prescrizione su una assoluzione; sul discorso della Tanzania l’operazione è già rientrata, i consulenti erano persone completamente a titolo gratuito”.

Ieri, intanto, i finanzieri del nucleo di polizia tributaria della Gdf di Milano si sono recati nella sede genovese di Banca Aletti e di altri 7 istituti di credito per acquisire tutti i documenti sui conti riconducibili all’ex tesoriere Francesco Belsito, indagato per appropriazione indebita e truffa, ma anche, pare, a Umberto Bossi e più in generale al Carroccio, per andare a ricostruire tutte le movimentazioni di denaro, ‘a caccià di altri esborsi senza giustificazioni. Oltre al tentativo di trovare riscontri su elementi già emersi dall’ inchiesta, come un carnet di assegni rilasciato proprio da Banca Aletti e che reca la scritta “Umberto Bossi”. Nel frattempo, si è anche saputo che con l’ordine di esibizione, consegnato ieri dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo e dai pm Roberto Pellicano e Paolo Filippini nelle mani del nuovo tesoriere Stefano Stefani e alla presenza di Roberto Maroni, i magistrati hanno chiesto “tutta la documentazione riguardante le proprietà immobiliari e mobiliari della Lega o comunque intestate a rappresentanti o fiduciari del movimento politico”.

Gli inquirenti, inoltre, proprio oggi hanno conferito l’ incarico ad un perito di analizzare tutto il materiale informatico, computer e portatili, sequestrato nel corso delle perquisizioni della scorsa settimana. Analisi che potrebbero servire anche a trovare tracce dei presunti “fondi neri in entrata” nelle casse del partito. Mentre per quanto riguarda il capitolo dei soldi che dal Carroccio sarebbero stati dirottati a singoli soggetti, come Bossi, i suoi figli e la moglie, sotto “la lente d’ingrandimento” dei magistrati è finito anche l’ex ministro Calderoli. In una intercettazione, infatti, l’ex responsabile amministrativa di via Bellerio, Nadia Dagrada, dice parlando con Belsito: “E invece quelli di Cald (ndv Calderoli) come li giustifico quelli?”. E gli investigatori annotano proprio il nome “Calderoli” tra i soggetti destinatari di “rilevanti somme di denaro (…) utilizzate per sostenere esigenze personali (…) estranee alle finalità ed alle funzionalità del partito Lega Nord’’.

Mentre dall’analisi dei documenti acquisiti ieri nel corso della “visita” alla sede del Sindacato Padano è venuto fuori che tra i pochi dipendenti del Sinpa – non più di tre – una sarebbe la nipote di Rosi Mauro, i militari della Gdf hanno chiesto carte su una decina di conti in alcune filiali della Banca Popolare di Novara, della Bnl, di Unicredit, di Banca Sella, di Carige, del Banco di Napoli e della Banca Popolare di Lodi. Nella famosa cartella ‘The Family’, infatti, oltre al carnet di assegni di Banca Aletti (istituto da cui sono partiti gli investimenti all’estero e nel quale ci sarebbero diversi conti riconducibili alla Lega), c’è documentazione anche su conti di Bossi e di sua moglie proprio presso la Banca Popolare di Lodi.

In più dalle carte risulta che alla filiale romana del Banco di Napoli da un conto intestato all’ormai presidente del Carroccio vengono fatti due bonifici – da 5 mila euro il 21 aprile 2010 e da 4 mila euro il 13 ottobre 2010 – in favore della moglie, Manuela Marrone, su un conto della Banca Popolare di Bergamo, che sembrerebbe intestato allo stesso Senatur. Tra i conti acquisiti ci sono sia quelli ‘federalì del Carroccio, ossia quelli su cui avevano potere di firma Belsito e i responsabili amministrativi come la Dagrada, che quelli ‘localì su cui potevano operare i dirigenti delle sedi ‘periferichè del partito. Infine, gli accertamenti su tutti gli “immobili” in uso al “movimento politico” e “ai suoi iscritti”. I magistrati per fare chiarezza su una tesoriera “opaca” chiederanno “di volta in volta” alla Lega di consegnargli “note informali, appunti” e anche “e-mail”.

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