La cronaca offre la metafora della giornata, tragica, di ieri sui mercati: giocando con un fucile Marichalar y Borbòn nipote di re Juan Carlos di Spagna, si spara in un piede e finisce al pronto soccorso. È quello che sta succedendo al governo popolare di Mariano Rajoy che sta continuando a farsi del male con il fucile della finanza pubblica: Madrid annuncia un nuovo pacchetto di austerità, il più pesante nell’era post franchista, i mercati non si fidano e tutto torna ai momenti peggiori dell’estate 2011.

Non sono problemi soltanto spagnoli: la Borsa di Milano è la peggiore d’Europa, chiude con un tracollo che non si vedeva da tempo, -5 per cento, la capitalizzazione totale del listino diminuisce di 17 miliardi. Colpa delle banche, soprattutto, che sprofondano (Intesa perde l’ 8 per cento). E lo spread continua a crescere: il differenziale di rendimento tra titoli di debito italiani a 10 anni e gli omologhi tedeschi sfonda abbondantemente i 400 punti e chiude la giornata a 404. Per dirla in altro modo: i rendimenti per il nostro debito pubblico fissati dal mercato sono superiori al 5, 6 per cento. Ancora sotto il livello di guardia, ma la tendenza è pericolosa visto che il governo Monti conta proprio sui risparmi dai tassi di interesse (stimati nelle manovre ai livelli di fine 2011, oltre il 7 per cento) per attutire l’impatto della recessione 2012 nei conti pubblici.

Che cosa sta succedendo? Soltanto dieci giorni fa il premier, nel suo viaggio asiatico, invitava all’ottimismo e pochi giorni fa ancora ribadiva: “La crisi dell’Eurozona è quasi finita e l’Italia ha contribuito a questo”. Il guaio è che questa è una crisi di fiducia, un modo elegante per dire che il problema è tanto psicologico quanto economico. Tradotto: i mercati sono inquieti, dopo cinque anni di disastri si fanno prendere dal panico con una certa frequenza. Prendiamo il caso della Spagna: nel 2009, come ha ricordato ieri il Governatore della Banca centrale Miguel Fernàndez Ordonez, il Paese aveva un deficit all’ 11 per cento del Pil, nel 2012 dovrebbe portarlo al 5, 3, non l’obiettivo concordato con l’Europa ma meglio di niente. Solo che gli investitori ora hanno due paure: la prima che Rajoy non riesca a ottenere il risultato, perché i tagli di spesa annunciati sono di competenza soprattutto di regioni molto autonome dal governo centrale, e il secondo timore è che Rajoy faccia davvero quello che promette, aggravando la recessione del Paese (secondo il Fondo monetario internazionale sarà -1, 7 per cento nel 2012).

Schizofrenia? Non è certo l’unico caso in Europa, in questi tempii: pochi giorni fa Charles Dallara, presidente dell’Istituto internazionale della finanza, una lobby delle grandi banche, ha scritto un documento per dare indicazioni ai governi: “Bisogna muoversi oltre la sola disciplina fiscale”, il rigore non basta. Eppure Dallara rappresenta quelle stesse banche che per mesi hanno chiesto e ottenuto sacrifici dai greci, spingendo Atene a un soffio dal default, per limitare le perdite sui propri crediti. Ora capiscono che troppo rigore nei conti porta alla recessione che farà salire gli spread e scendere il valore dei titoli di Stato in pancia alle banche stesse. Come ha ricostruito una nota della banca JP Morgan, molto commentata in questi giorni dagli operatori finanziari, tutte le misure anticrisi adottate finora a livello europeo servivano solo a prendere tempo. Se i Paesi a rischio, Spagna, Portogallo, Irlanda e Italia su tutti, non dimostrano di poter cambiare le proprie prospettive ma di avviarsi a pesanti recessione, i mercati tornano al panico di fine 2011. Gli oltre 1. 000 miliardi prestati a tassi agevolati dalle Bce alle banche sembrano all’improvviso inutili, così come il Fondo salva Stati fermo a pochi spiccioli (500 miliardi).

Per questo l’immagine di un Paese è cruciale: Mario Monti sta lavorando molto per presentare l’Italia come dinamica e prossima alla ripresa, nonostante la recessione. Ma la grande stampa finanziaria sembra aver già deciso che la cura Monti ha fallito, il Wall Street Journal ha in corso una campagna contro il premier, e ieri ha pubblicato anche sull’edizione europea (dopo quella Usa) l’editoriale in cui parla della “resa davanti al partito di sinistra” sull’articolo 18 e corregge il paragone: il premier non è la nuova Margaret Thatcher, ma una replica dell’inconcludente John Heath. Pure il governatore della Banca di Spagna, Ordonez, ha tentato un disperato scaricabarile “in Italia la retromarcia sulla riforma del lavoro sta creando enorme ansia”.

@stefanofeltri

Il Fatto Quotidiano, 11 Aprile 2012

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