Il compagno Bersani, forse memore delle lezioni di storia greca ascoltate a suo tempo all’università di Bologna, invoca Clistene e Pericle a difesa del finanziamento pubblico dei partiti. Che è un po’ come citare citare S. Ambrogio per spiegare Chievo-Milan 0-1 martedi sera. “C’entra ‘na sega”, direbbero i compagni livornesi del Vernacoliere.

“Il finanziamento alla politica, da Clistene e Pericle in poi, c’è sempre stato nelle democrazie per evitare plutocrazie, oligarchie e dominio” dice Bersani nell’intervista a Maria Teresa Meli. Il segretario del Pd aveva probabilmente in testa una pagina di Moses Finley dove si dice che c’è uno “stretto legame tra democrazia, partecipazione delle classi inferiori al governo e remunerazione per le funzioni pubbliche” (La politica nel mondo antico, Laterza, p. 53).

Peccato che la “remunerazione per le funzioni pubbliche” non si riferisca ai politici di professione, che nell’antica Atene non esistevano (anche se Pericle fu eletto stratega per molte volte) bensì al pagamento di piccole somme al cittadino comune che veniva scelto per svolgere la funzione di giurato in un processo o che semplicemente partecipava all’assemblea. Erano i poveri a venire incoraggiati dallo stato a partecipare alla democrazia, tassando le città conquistate o i ricchi (e infatti Platone amava pochissimo il sistema, come si può facilmente constatare leggendo il Gorgia).

Bersani dice che il finanziamento alla politica è necessario, ma dimentica che qualsiasi paragone tra la “democrazia degli antichi” e quella “dei moderni” è considerato fasullo almeno dai tempi del compianto Benjamin Constant, che scriveva due secoli tondi tondi or sono. Evidentemente , c’è stata qualche difficoltà nell’acquistare “consapevolezza critica dei fondamenti della conoscenza storica e una metodologia di indagine nello studio della Storia greca”, obiettivo del corso di storia greca presso la facoltà di Lettere e Filosofia, dove Bersani si è laureato.

Per quanto riguarda Pericle, ai suoi tempi l’assemblea era sovrana e i membri del Consiglio dei Cinquecento erano scelti a sorte: “restavano in carica per un anno e si poteva entrare a farne parte solo due volte nel corso della vita. Anche quasi tutte le magistrature erano ricoperte da persone scelte a sorte” (Finley, p. 107). Siamo un po’ lontani dal mondo dei tesorieri di partiti in grado di gestire decine di milioni di euro in “rimborsi” elettorali.

Se lo scopo è “evitare plutocrazie, oligarchie e dominio” possiamo facilmente scoprire quale fosse la ricetta di Clistene ricorrendo alla Costituzione di Atene: “Il popolo si radunò e i seguaci di Cleomene e di Isagora si rifugiarono nell’acropoli, che il popolo circondò e assediò per due giorni. Il terzo cacciarono Cleomene e tutti i suoi concedendo loro una tregua mentre richiamavano Clistene e gli altri esiliati” (cito dall’edizione Utet, 2006, p. 383). In altre parole, pare che all’epoca i forconi fossero considerati una ricetta migliore dei rimborsi elettorali per risolvere il problema degli oligarchi. Nel 411 a.C. ci fu un colpo di stato degli aristocratici ma l’anno dopo i Quattrocento oligarchi (come sarebbe accaduto ai Trenta tiranni imposti dagli spartani alla fine della guerra del Peloponneso) furono rovesciati dalla mobilitazione popolare, non dalla Corte dei conti o da un vertice con Alfano e Casini.

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