Da anni ho scelto gennaio come spazio per le mie vacanze. Molto meglio che sprecare soldi ed energia in agosto. Gennaio è ottimo, sia per troncare il freddo, che per vedere all’inizio dell’anno un posto nuovo. Dopo il Laos e l’India, quest’anno ho potuto vedere la Cambogia: un’esperienza fantastica, quasi surreale, perché si unifica lo sguardo “avventuriero”, dato che sei fisicamente e spiritualmente immerso ed impegnato nella natura (che si sta reimpossesando dei templi, ad esempio). Magari anche facendo dei brevi viaggi in canoa nelle giungle fluviali.

A queste bombe di vita si contrappongono dei luoghi di morte, come i killing fields , dove è stata perpetrata una delle violenze più atroci del mondo. Mentre io ero alle elementari, in Cambogia sono state ammazzate migliaia di persone: è infatti possibile visitare le cave in cui veniva buttata la gente dopo essere stata uccisa.

In Cambogia spesso si contrappone la piacevolezza dei luoghi e delle persone che vivono la loro realtà, ancora immersi nelle dinamiche della famiglia, della comunità, del villaggio, alle enormi brutture, alla tristezza e alla disperazione assoluta, dove il fatto di essere italiani ti ricorda costantemente di essere compatriota di quei deficienti che a Brescia costruiscono le mine anti-uomo.

La prima lezione che si impara lì è quella di lasciar da parte ogni tipo di giudizio. La seconda è che si capisce che tutta questa abbondanza materiale di oggetti e di pseudo-organizzazione della vita in cui siamo immersi noi occidentali, compresa l’Usl e i controlli sanitari, non sono altro che una distorsione del nostro sistema.

Ho frequentato mentre ero lì un corso di cucina cambogiana. La mattina si va a prendere ciò che si vuole cucinare al mercato con l’insegnante, e anche lì si può vedere quanta umanità c’è in un contesto del genere, che noi stiamo perdendo. La Cambogia, a differenza ad esempio di molte aree della vicina Tailandia, piena di lucine e roba preconfezionata per turisti, preserva una forte identità culturale. Anche lì, nelle grandi città, arriva il progresso, arriva Internet ed arrivano le pugnette, però la sensazione è proprio quella di contatto. Che in realtà è possibile anche vivendo in alcune zone d’Italia, dove è ancora possibile vivere una propria dimensione in maniera “pulita”.

Non a Milano, però, dove molta gente sceglie di spendere il sabato pomeriggio in un centro commerciale, un non-luogo in cui è possibile più che altro divertirsi assistendo allo spettacolo di delirio collettivo. E lì si vede che molte persone, però, non sono affatto contente di quella specie di svago. Se non altro perché sentono di fare qualcosa che non è abbastanza, o utile, per sentirsi sereni.

Forse è per questo che siamo arrivati ad un “musonismo”, ad una “malmostosità” del nostro contesto che non può piacere a nessuno. E che porta troppa gente, a differenza di quel che si vede in Cambogia, a non essere mai contenta di quello che fa. O di quello che ha.

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