Con la gente che insegue e insulta i capataz in fuga da via Bellerio sulle berline blu (per cui hanno venduto l’anima) si conclude la parabola della Lega, nata contro i ladroni e diventata più ladrona ancora.

Umberto Bossi era finito molto prima, da quando le sanguisughe in camicia verde lo portavano in giro, penoso monumento al suo passato, e alle sue spalle battevano cassa. Su certi finanziamenti non proprio limpidi anche il senatur dovrà qualche spiegazione (e pure sulla colpevole debolezza verso insaziabili figli e cerchi magici). Mentre però si allontana con lo sguardo perso dietro i vetri dell’auto schizzati di pioggia (la stessa immagine del Berlusconi cacciato del 12 novembre), incommensurabile appare la distanza tra lo scaltro inventore della messinscena padana e certi suoi emuli senza arte né parte, girovaghi dalle facce stravaganti miracolati con poltrone di governo e facoltà di arraffare qua e là.

Del futuro che attende l’ex movimento del cappio finito nel cappio ci sarà tempo di parlare (a ingaggiare quelli meno sputtanati ci sarà sempre il miliardario bunga bunga). Ma sull’avvenire che attende la compagnia dei partiti foraggiati con miliardi pubblici c’è poco da dubitare. “Tra sei mesi ci spediranno a casa con i forconi”, dice un tesoriere che non vuole finire come Lusi e Belsito. Non ci si rende conto che la corruzione della politica può mandare in malora la democrazia.

Come minimo occorre una legge che metta fine allo scandalo dei rimborsi elettorali gonfiati. Il Parlamento non l’approverà mai senza un deciso intervento del Quirinale. Occorre un messaggio alla nazione. I moniti non servono più.

Il Fatto Quotidiano, 6 Aprile 2012

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