La prima analisi complessiva dell’operato economico del governo, il racconto delle conseguenze macroscopiche, a livello sociale, di decisioni che gravano sulla condizione dei più deboli. Sarà domani nelle librerie “Se cento giorni di Monti vi sembran pochi…” (Editoriale Jaca Book, 9 euro, 126 pp.), pamphlet polemico a firma di “Pasquino” dietro cui si nascondono Luciano Vasapollo, docente di economia applicata all’Università Sapienza di Roma, e i ricercatori Rita Martufi e Paolo Graziano.

“Questo libro è il diario di un tradimento, la storia di un esecutivo espressione diretta della Banca centrale europea – racconta Vasapollo – , che insegue la costruzione del polo europeo e di uno stato sovranazionale a guida tedesca. Senza nessun riguardo per la speranza di coloro che in piazza si erano esaltati al momento del crollo del governo Berlusconi, credendo alla possibilità di un risanamento condotto in maniera equa”. Che secondo l’autore non è avvenuta. “Tutti lo sanno – prosegue – : è di 250 miliardi di euro la stipula dell’evasione fiscale. Il governo, al netto di residui vari, con la cosiddetta lotta evasione ne ha recuperati al massimo 10“. Inoltre “la patrimoniale non si è fatta. Si sta tagliando invece la spesa sociale, si attaccano il costo del lavoro e le pensioni. La disoccupazione è aumentata. Insomma siamo di fronte a una fiducia tradita”.

“C’è poi un dato politico di cui tenere conto: oggi l’atteggiamento della Bce nei confronti dei Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna) è simile a quello che il Fmi applicava, qualche tempo fa, nei confronti dei paesi dell’America latina. C’è un’espropriazione, insomma, della sovranità nazionale. I governi di questi paesi oggi sono diretta emanazione della BCE”. E secondo l’autore in Italia “non è affatto azzardato parlare di un deficit di democrazia”, perché per la prima volta abbiamo un governo in cui nessun esponente del Consiglio dei ministri è stato eletto. “Il governo Monti è perfettamente svincolato rispetto a qualunque elettorato. In quattro mesi si è permesso manovre che gli altri partiti non avrebbero potuto fare perché ne avrebbero dovuto rispondere. Monti invece tira dritto sui dettami Bce basati su rientro del debito pubblico con un operato economico che ha conseguenze sociali importanti. La disoccupazione è senz’altro il parametro più allarmante a questo riguardo”.

Pubblichiamo un estratto di “Se cento giorni di Monti vi sembran pochi…” dal capitolo: “Benvenuto, Supermario!”

Tra le associazioni dei consumatori, sacerdotesse delle previsioni nefaste, cominciano a circolare diverse ipotesi sull’impatto economico della manovra del governo Monti sui redditi delle famiglie: si va da un minimo di 635 euro (Cgia) a un massimo di 2.895 (Adoc), a una media di 1.173 euro (Adusbef, Federconsumatori). Tutto questo, naturalmente, è il combinato dell’aumento dei prelievi fiscali e della mancata indicizzazione di stipendi e pensioni, che resteranno al palo almeno fino al 2014. Nel taglio generalizzato, che si aggiunge a quelli realizzati dal governo Berlusconi, circa 200 euro in meno deriveranno dalla sforbiciata agli enti locali, altri 900 euro evaporeranno in nuove tasse, gabelle e imposte aggiuntive.

Entrando nel dettaglio dei soli provvedimenti del professore, il mancato adeguamento dell’indicizzazione delle pensioni oltre i 935 euro al mese inciderà per 43 euro all’anno, il taglio agli enti locali per 163 euro, l’aumento dell’iva (che in realtà risale a settembre) per 270 euro, gli aumenti della tassa sugli immobili (ora Imu, prima Ici) per 440 euro, l’aumento delle accise sui carburanti per 120 euro, il bollo sui depositi titoli fino a 50.000 euro per 47 euro, l’aumento dell’addizionale regionale dello 0,3% per 90 euro.

Delle tanto sbandierate gabelle sui beni di lusso, è rimasto qualche spicciolo sul tavolo della manovra: il prelievo, infatti, porterà nelle casse dello Stato appena 285 milioni di euro. E non è neanche certo.

D’altra parte, i deputati e i senatori, insieme alle loro piccole corti dei miracoli, tentano disperatamente di resistere. Sono in subbuglio, ad esempio, sulla questione degli emolumenti e delle indennità parlamentari, e sostengono che il presidente Monti e le sue truppe corazzate non possono privare Montecitorio e Palazzo Madama di una facoltà fondamentale della sovranità del Parlamento, cioè la facoltà di attribuirsi gli stipendi. “Viola l’autonomia del Parlamento”, fanno sapere da Montecitorio e Palazzo Madama. L’indennità di un deputato italiano oggiammonta a 11.704 euro, ovviamente al netto della diaria (la cifra supplementare per ogni presenza in aula). La media delle retribuzioni nell’Europa cui il governo Monti guarda con attenzione è di circa 6.000 euro in meno (per la precisione 5.339). Cifre prese come modello dal governo con l’obiettivo di ridurre i costi della politica.

Se proprio saranno costretti a scegliere, spinti dall’indignazione popolare e dal pressing del professore, i parlamentari preferirebbero invece adeguarsi ai trattamenti riservati a chi va a Strasburgo: un eurodeputato guadagna, infatti, 6.000 euro netti mensili, ma ci aggiunge i generosi benefit del ruolo e i collaboratori sono a carico del Parlamento. I tecnici di Montecitorio hanno fatto due conti e hanno scoperto che non ci conviene: l’adeguamento all’Europarlamento farebbe quasi raddoppiarei costi della Casta anziché ridurli.

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