Morire è scocciante sempre,  ma almeno Bentivegna, il compagno Bentivegna, il compagno Rosario (origini siciliane!) Bentivegna è morto bene. Non l’hanno ammazzato i tedeschi, non l’hanno ammazzato i fascisti, è morto nella sua Repubblica, nel suo letto, a novant’anni. E per soddisfazione finale ha avuto lo spettacolo dei fascisti incazzati, impotentemente incazzati. Non hanno dimenticato niente, ma non ci possono far nulla perché loro hanno perso e Bentivegna ha vinto. In più, se volessero dire “quel ladro di Bentivegna” (o di Petroselli, o di D’Onofrio, fate voi: i comunisti) la gente gli riderebbe in faccia, perché sull’onestà dei compagni, della generazione di Bentivegna, nessuno ha mai potuto fare manco un pensiero.

E se dicessimo “quel ladro di S.”? O “quel ladro di B.”? Al bar Sport, come minimo, si accenderebbe una lunga discussione.  Ma stiamo allegri, lasciamo perdere, è primavera. Per le vie di Roma passano le coppiette che hanno marinato la scuola. Passano, inconsapevolmente, sotto le povere lapidi dei compagni e dei gentiluomini che qui sono morti in silenzio, a decine; che hanno vinto il nazismo. Esattamente per questo, hanno combattuto: perché i ragazzini potessero passare là sotto senza accorgersene, continuando a ridere, senza paura di niente.

Certo: la macchina divoratrice ronza ancora. Ciascuno di quei ragazzi, in realtà, passeggia sotto il mirino del sistema: non si presentano facili, le loro vite. Però, se ce l’abbiamo fatta a quei tempi, perché non potremmo farcela anche negli anni Trenta che si annunciano ora?

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