Mitt Romney ne fa tre, come il Barcellona. Rick Santorum manco uno. Le primarie repubblicane nel Wisconsin, nel Maryland e a Washington, la capitale, consentono al moderato mormone, ex governatore del Massachusetts, di allungare il passo verso la nomination, superando i 650 delegati. Alla convention di Tampa, a fine agosto, ne serviranno 1144 per garantirsi la nomination: Romney non salderà il conto ad aprile, nonostante il calendario gli sia favorevole, a parte la Pennsylvania, lo Stato del suo rivale, un integralista cattolico italo-americano. E maggio offre a Santorum speranze di recupero, ma parziale. Per chiudere matematicamente i conti bisognerà forse attendere il 5 giugno e la California. Ma, ormai, sembra più una questione d’aritmetica che di politica.

I successi di Romney di ieri hanno avuto dimensioni diverse: a Washington, dove Santorum non era neppure in lizza, Romney ha sfiorato il 70% dei suffragi; nel Maryland, è arrivato vicino al 50% con Santorum al 30%; il Wisconsin è stato più combattuto, col 43% a Romney e il 38% a Santorum (i dati sono ancora provvisori).

La conta dei delegati è ancora in corso. Ma, prima delle primarie di ieri, Romney ne aveva già 572, la metà esatta dei 1144 necessari. Santorum era a 272, Gingrich a 135 e Paul a 51. Tra Wisconsin, Maryland e Washington, ce n’erano in palio 95: Romney ha sicuramente superato i 650..

Santorum non s’arrende. “Siamo alla fine del primo tempo – dice -. Il secondo inizierà dalla Pennsylvania”, il 24 aprile: “Di qui, partirà la mia rimonta”. O, forse, quel giorno sarà un po’ come segnare il gol della bandiera, quando l’avversario ha ormai preso il largo. Che poi, se dovesse invece perdere nel suo Stato, dove Romney s’accinge a fare campagna spendendo un sacco di soldi, Santorum potrebbe abbandonare la corsa.

Quanto agli altri due contendenti, erano già fuori gioco e ci restano: Newt Gingrich, ultra-conservatore populista, ex speaker della Camera, ha già ammesso, fuori dai denti, che Romney sarà il candidato repubblicano alla Casa Bianca; e Ron Paul il libertario è in gara per il gusto e il principio, non certo per la vittoria.

Anche il presidente Barack Obama sembra pensarla così: in un discorso, ieri, ha menzionato Romney. Quasi un’investitura della Casa Bianca all’ex governatore del Massachusetts come antagonista del presidente nelle elezioni presidenziali del 6 novembre. E Romney agisce in parallelo: non parla (quasi) più dei suoi antagonisti repubblicani, ma attacca il presidente, sotto la cui guida – dice – “la ripresa è la più tiepida, la più debole, la più dolorosa dall’inizio della nostra storia economica”.

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