Ad ascoltare le sue tesi sembra di parlare con un leader degli indignados: soppressione del mercato dei derivati, abbattimento dell’interesse degli azionisti, radicale riforma del sistema monetario. Invece lui è Francois Morin, docente di scienze economiche all’università di Toulouse-I, ma soprattutto membro, per nove anni, del Consiglio generale della Banca di Francia. Un banchiere centrale che attacca la finanza speculativa, il cui potere è arrivato all’apice proprio grazie al benestare delle autorità? Morin lo fa in tutte le 132 pagine del suo Un mondo senza Wall Street?, nuovo libro appena tradotto in italiano con Tropea.

Professor Morin, perché dovremmo privarci della più grande Borsa mondiale?
Il titolo è un po’ provocatorio, ma ha l’obiettivo è lanciare un allarme. La crisi del debito sovrano non è finita e la logica che l’ha provocata resta dominante. I debiti sovrani non sono sostenibili finanziariamente e i paesi a rischio sono tanti: la Spagna, il Belgio, l’Italia con il suo debito che arriva al 120% del Pil, ma anche stati extraeuropei come il Giappone e gli Stati Uniti. Qui si rischia una nuova crisi, ma questa volta sarebbe una vera catastrofe, perché i mezzi usati finora per tappare le falle non ci sono più: mancano i soldi per ricapitalizzare le banche, per rilanciare l’attività economica. Dunque siamo di fronte ad un evento eccezionale, un evento simile alla crisi del ’29. Con questo libro voglio lanciare un grido d’allarme, e lo faccio io perché i politici, che si definiscono responsabili, non osano perché vogliono evitare di spaventare gli elettori.

Lei scrive che non è sufficiente regolamentare il mercato dei derivati ma bisogna eliminarli. E’ vero però che i derivati in teoria non servono solo per speculare ma per anche per coprirsi dai rischi, ad esempio per chi acquista materie prime.
Io non mi riferisco ai derivati usati nella compravendita di materie prime e prodotti alimentari. Mi riferisco a quelli usati per speculare su tassi di interesse dei titoli di stato e sui tassi di cambio monetario. Questi derivati rappresentano il 95% di quelli in commercio e sono ormai l’attività principale delle banche.

All’inizio della crisi, dopo il fallimento di Lehman Brothers, tutti si scagliavano contro la finanza speculativa, i derivati. Poi la rabbia è andata svanendo. Nemmeno Obama è riuscito ad eliminarli.
In realtà tutti se la sono presi con la finanza in generale, non con i derivati. Hanno detto che avrebbero regolato maggiormente i mercati, che avrebbero ridotto i bonus e i salari dei banchieri, ma di eliminare i prodotti derivati non si è mai parlato. Eppure questa è l’attività principale delle grandi banche. Oggi al massimo la politica si arriva a dire che le banche devono separare le attività di credito da quelle di investimento speculativo, ma questo non basta.

Lo dice anche Hollande, di cui lei è consigliere economico.
E infatti credo che il suo programma vada nella giusta direzione ma sia decisamente insufficiente. L’altro candidato di sinistra, Jean-Luc Mélenchon, va un po’ oltre e dice di voler sopprimere i credit default swaps (derivati che assicurano contro il fallimento di uno stato o un’impresa, ndr), ma per il resto dice di volersi limitare a controllare l’emissione dei derivati, non ha parlato di soppressione.

Se Hollande vincerà, la Francia potrebbe diventare la nuova vittima della speculazione?
La destra francese ha già detto che i tassi si alzeranno, ed è probabile che questo succeda perché tutte le occasioni sono buone per gli speculatori. Inoltre, viste le prospettive economiche della zona euro per il 2012, penso che il rapporto con il debito pubblico peggiorerà, e questo vale sia per la Francia che altri paesi come Spagna e Italia. Il peggioramento porterà prima o poi a una catastrofe, ed è probabile che se Hollande venga eletto la catastrofe venga anticipata. Ribadisco però che le proposte di Hollande non costituiscono un vero cambio delle regole del gioco. Ha promesso la separazione per le banche tra le attività di reddito e quelle speculative, ha detto che rinegozierà con Angela Merkel il fiscal compact, ma ciò non basta, per rimettere a posto le cose serve una riforma monetaria mondiale.

Come giudica le decisioni prese finora dal governo Monti in Italia?
Monti è stato commissario europeo per la concorrenza e consulente di Goldman Sachs. E’ un economista liberista. La politica di austerità che sta attuando riflette la sua ideologia: ha liberalizzato alcuni settori dell’economia, sta per riformare il diritto del lavoro. La cosa interessante è che si è detto d’accordo con Hollande sul fatto di unire all’austerità un patto europeo per la crescita. In generale è un europeista convinto, favorevole agli eurobond, ma allo stesso tempo molto vicino al pensiero neo liberista. Basta vedere quello che ha detto recentemente: accettate la riforma del lavoro altrimenti mi dimetto.

Da quando Mario Draghi è arrivato alla Bce sono stati prestati alle banche 1.000 miliardi di euro al tasso dell’1%. Però questi soldi vengono usati per speculare e non vanno a finanziare cittadini e imprese. In Italia ci sono stati imprenditori che si sono suicidati perché le loro imprese stavano fallendo anche a causa del credit crunch. Lei ha lavorato per quasi 10 anni alla Banca di Francia: ci spiega perché questi soldi non vanno alle imprese?
Guardando il bilancio della Bce vediamo che quasi la totalità di questi prestiti sono tornati a Francoforte sotto forma di riserve. La Bce presta soldi all’1% alle banche private, e queste rimettono i soldi nella Bce prendendo lo 0,25% di interesse. Ciò succede perché la fiducia tra le banche è quasi nulla, il mercato interbancario non funziona più, i bilanci degli istituti sono pieni di titoli di stato europei che vengono acquistati usando gli stessi soldi della Bce. Vista la situazione, perché prestare soldi alle imprese con il rischio di non riprenderli, quando invece si può guadagnare senza rischi?

Non si potrebbe obbligare le banche private a prestare a imprese e cittadini almeno una parte dei soldi presi in prestito dalla Bce?
Si potrebbe, ma ciò si scontra con i principi del liberismo. Il problema è che i guadagni delle banche arrivano quasi interamente dalle attività speculative, non da quelle creditizie: è questo che bisognerebbe cambiare.

Perciò lei dice che ci vorrebbe una riforma monetaria?
Sì, proprio per questo. La finanza ha preso potere quando, nel 1971, il presidente americano Nixon abbandonò la convertibilità del dollaro con l’oro e soppresse il regime dei cambi fissi tra le monete più importanti: fu la rottura degli accordi di Bretton Woods. Il risultato è che oggi la politica è comandata dalla finanza. Prendiamo un esempio: ci sono parecchi governi che si sono dimessi perché il tasso di interesse sui titoli di stato si era alzato ad un livello considerato eccessivo dal mondo finanziario. È successo in Portogallo, in Grecia, in Italia e in Spagna. Tutto ciò accade perché gli Stati sono considerati come delle imprese che devono finanziarsi sul mercato e dal mercato possono essere essere sanzionati. A me sembra indispensabile cambiare le regole del gioco. Bisogna rimettere al centro l’idea di Keynes del bancor, una moneta internazionale basata su un paniere di monete nazionali, il che limiterebbe i rischi di deprezzamento drastico e ridurrebbe contemporaneamente la dipendenza cinese dagli Usa. Ma gli Stati Uniti non hanno mai accettato quest’idea perché per loro una moneta internazionale esiste già ed è il dollaro.

Lei sostiene la necessità di rivoluzionare il mondo finanziario. Ma come si fa oggi a vincere un’elezione senza l’appoggio della finanza?
E’ difficile, ma non ci sono molte possibilità. O il mondo politico prende coscienza della situazione e si accorda per una nuova Bretton Woods, cioè una riforma monetaria mondiale che permetta di riprendere il controllo della finanza, oppure siamo destinati alla catastrofe.

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