Non c’è solo la Torino-Lione. Il governo è in procinto di decidere su un certo numero di grandi opere. L’attenzione mediatica è concentrata sul tunnel della Val di Susa, ma c’è il forte rischio che anche questi altri interventi possano rivelarsi, nel complesso, un cattivo affare per il Paese e per gli equilibri di finanza pubblica del prossimo ventennio. È urgente un ripensamento che porti a scegliere progetti meno costosi, più rapidamente realizzabili e perciò più utili alla crescita. (1)
di Marco Ponti*, 30.03.2012, lavoce.info

Il catalogo (breve) è questo
Alcune opere sono già state finanziate in parte, altre hanno passato la cruciale soglia dell’approvazione del Cipe.(2)

Vale la pena riflettere sulle maggiori.
Si tratta del tunnel ferroviario del Brennero, della linea ferroviaria Milano-Genova (nota come “terzo valico”, essendocene già due, e sottoutilizzati), la linea alta velocità Milano-Verona, le  nuove linee ferroviarie Napoli-Bari e Palermo-Catania, tecnicamente non ad alta velocità, ma con costi unitari del tutto paragonabili, e il miglioramento in asse della linea Salerno-Reggio Calabria (forse la più sensata). Il costo totale preventivato supera i 27 miliardi di euro. Va segnalato che i preventivi non hanno avuto una verifica “terza”, come sarebbe auspicabile, dato l’ovvio e storicamente verificato incentivo per i promotori dei grandi progetti a sottostimarne abbondantemente i costi.
Vi è anche una forte intesa politica “bipartisan” per la nuova linea Venezia-Trieste, mentre non è chiaro al momento il destino del ponte sullo stretto di Messina.

Somiglianze

Quali caratteristiche hanno in comune questi progetti? Sommariamente si può dire così:

  1. Non sono stati resi pubblici i piani finanziari: cioè non è noto quanto sarà a carico dei contribuenti e quanto a carico degli utenti. La cosa non sembra irrilevante in un periodo di grande scarsità delle risorse pubbliche.
  2. Non sono in generale note analisi costi-benefici comparative delle opere, finalizzate a determinare una scala trasparente di priorità.
  3. I finanziamenti non sono “blindati” fino a garantire il termine dell’opera. La normativa recente che consente di realizzarle “per lotti costruttivi”, invece che “per lotti funzionali” (vedi “Grandi opere, un pezzo per volta“, e “A volte ritornano, i lotti non funzionali), rende possibili cantieri di durata infinita, come già spesso è accaduto per opere analoghe.
  4. Si tratta di opere ferroviarie, ed è noto che la “disponibilità a pagare” degli utenti per la ferrovia è molto bassa, tanto che in generale se si impongono tariffe che prevedano un recupero anche parziale dell’investimento, la domanda, già spesso debole, tende a scomparire integralmente. Questo aspetto, su cui qui non è possibile dilungarsi, rende problematica la scelta, in presenza di risorse scarse.
  5. benefici ambientali del modo ferroviario non sono discutibili. Ma non è così in caso di linee nuove: le emissioni climalteranti “da cantiere” rendono il saldo ambientale molto problematico. (3)
  6. Il contenuto occupazionale e anticiclico di tali opere appare modestissimo: si tratta di tecnologie “capital-intensive” (solo il 25 per cento dei costi diretti sono di lavoro), e comunque l’impatto occupazionale è lontano nel tempo, data la durata media di realizzazione. (4)

Progetto per progetto
Vediamo ora alcuni aspetti, per quanto frammentari, specifici di alcune di queste opere. La debolezza del quadro informativo di cui si dispone è un problema politico in sé: investimenti pubblici di tale portata dovrebbero essere documentati e comparati in modo trasparente ed esaustivo.

Sul “terzo valico” Mauro Moretti, amministratore delegato di Fs, si è espresso più volte mettendone fortemente in dubbio la priorità, tanto da dover essere duramente ripreso con una lettera al Sole-24Ore dall’ex-ministro Pietro Lunardi. lavoce.info ha dimostrato l’inconsistenza dell’analisi costi-benefici della linea av Milano-Venezia(vedi “E sulla Milano-Venezia i conti non tornano“), presentata con notevolissimo eco mediatico e unanime approvazione politica due anni fa, senza che mai questa dimostrazione sia stata confutata dagli autori dell’analisi. Per il tunnel del Brennero, gli austriaci da tempo esprimono perplessità sulle proprie disponibilità finanziarie. (5) Certo se l’Italia costruisse la propria metà, vi sarebbero rilevanti problemi funzionali per l’opera, in assenza della parte austriaca. Una dimostrazione di inconsistenza è stata proposta da lavoce.info anche per l’analisi costi-benefici presentata da Fs per la linea Napoli-Bari (vedi “E sulla linea Napoli-Bari corre la perdita“). Anche in questo caso, nessuna smentita è pervenuta.

Quali conclusioni trarne? Forse vale la pena di sfatare una posizione più volte emersa nei dibattiti pubblici, cioè che le infrastrutture generino nel tempo la domanda che le giustifica: il maggior flop infrastrutturale di questi anni, la linea di alta velocità Milano-Torino, costata 8 miliardi e con una capacità di 330 treni/giorno, ne porta, dopo tre anni dall’entrata in servizio, appena venti. Né si può argomentare che l’avvento del collegamento Torino-Lione ne genererebbe molti di più: le stime ufficiali (ma quelle del progetto completo, non di quello attuale, molto più modesto) parlano di meno di venti treni aggiuntivi.

Un mondo migliore

Purtroppo, la debolezza della domanda ferroviaria (non dell’offerta, si badi) non è forse il problema maggiore. Che sta nei cantieri infiniti, consentiti dall’attuale normativa. Per ragioni di consenso si rischia di avere moltissime opere non finite in tempi ragionevoli, con costi economici stratosferici. Si pensi all’esempio del progetto alta velocità, trascinatosi in media per dieci anni invece dei cinque fisiologici: su un costo complessivo di 32 miliardi, il costo-opportunità perduto delle risorse pubbliche (usando il valore standard europeo del saggio sociale di sconto del 3,5 per cento) è stato di 3,2 miliardi (questo, ignorando gli altri extra-costi, che hanno reso l’opera non confrontabile con altre simili europee). E l’extra-costo finanziario è ovviamente assai più elevato.

Non sembra proprio il momento di andare avanti con queste logiche, evidentemente proprie di un diversa fase politica ed economica, quando è così urgente rilanciare la crescita del paese.
Ecco, la crescita. In molti invocano le grandi opere proprio per rilanciare la crescita. Ammesso che veramente ci sia un nesso forte tra opere pubbliche e crescita, appare difficile contestare che alla crescita servano di più opere socialmente utili e dal costo ragionevole che opere di utilità sociale molto dubbia ed estremamente costose. (6) Altrimenti, tanto varrebbe scavare buche e riempirle: così, almeno, si eviterebbero i probabili effetti pro-ciclici di spese ingenti inevitabilmente prolungate nel tempo. Anche lasciando da parte i paradossi di Keynes, sarebbe raccomandabile un ripensamento serio finalizzato non necessariamente a spendere meno (anche se non sarebbe disprezzabile, visto che di soldi ce ne son pochi), ma a spendere meglio (maggior utilità sociale di ogni euro speso) e con il traguardo di  risultati più vicini nel tempo, per risolvere inefficienze localizzate che sul serio limitano la crescita (si pensi ai collegamenti tra i maggiori porti e interporti e la rete ferroviaria, ai grandi nodi metropolitani ferroviari e stradali).
Ma chi avrà il coraggio di dire di no a tanti “sogni nel cassetto” di politici, banche e costruttori locali, soprattutto in vicinanza di elezioni? La risposta che affiora subito alla mente è: il governo tecnico. Speriamo bene.

(1) L’articolo è stato scritto con la collaborazione di Raffaele Grimaldi.
(2) Si vedano le Gazzette ufficiali del 26.4.201110.6.20119.6.201131.12.2011.
(3) Westin J. e Kågeson P. (2012), “Can high speed rail offset its embedded emissions?”, Transportation Research Part D, 17, 1–7
(4) Vedi de Rus, G. e Inglada, V. (1997), “Cost-benefit analysis of the high-speed train in Spain”, The Annals of Regional Science, 31, 175–188.
(5) Si veda Il Sole-24Ore del 20.3.2012
(6)
Vedi Di Giacinto V., Micucci G., Montanaro P. (2011), “L’impatto macroeconomico delle infrastrutture: una rassegna della letteratura e un’analisi empirica per l’Italia”, in Banca d’Italia: Le infrastrutture in Italia: dotazione, programmazione, realizzazione, 21-56.

*Marco Ponti insegna economia dei trasporti, prima a Venezia e da tre anni al Politecnico di Milano. Ha svolto attività di consulenza per la Banca Mondiale, il ministero dei trasporti, le Ferrovie dello Stato e del ministero del Tesoro. Il suo blog su ilfattoquotidiano.it

MANI PULITE 25 ANNI DOPO

di Gianni Barbacetto ,Marco Travaglio ,Peter Gomez 12€ Acquista
Articolo Precedente

Quegli equivoci sull’articolo 18

next
Articolo Successivo

Gli strangolatori dell’economia

next