Con una idea nuova di democrazia del paese, Monti ha detto dal Giappone che il suo Governo ha sondaggi favorevoli, al contrario dei partiti; si sente forte e convinto che la riforma del mercato del lavoro verrà accolta bene, così come fu quella delle pensioni.

Ci stiamo avviando alla virtualizzazione del processo di delega che è la base della democrazia; segnali si erano già avuti nelle precedenti legislature, con l’uso dei sondaggi cresciuto e divenuto spregiudicato; i sondaggi però non erano usati come metro della legittimazione a governare, ma come strumento per capire come accattivarsi gli elettori; prassi maleodorante, perché introdusse un meccanismo di manipolazione: io candidato non mi presento a te elettore con un programma, lasciandoti scegliere chi meglio ti rappresenti; studio cosa vorresti sentirti dire e poi te lo dico in modo da affabularmi il tuo consenso.

Ora siamo oltre; la misura del consenso non è più affidata alle elezioni, ma ai sondaggi. Il messaggio è: partiti, parlamento, non mi ostacolate perché i cittadini vogliono me; lo dicono i sondaggi (attendibili, intelligenti, capillari, trasparenti, esaustivi?). Pensiamo se Berlusconi, l’indiscusso Re dei sondaggi, avesse tentato un’operazione mediatica del genere; la domanda ai giornali dalle grandi tirature e ai talk show di audience stellare è: che avreste scritto e detto? Sic transit gloria Pulitzer.

D‘altra parte: la riforma del lavoro è criticata da destra e da sinistra, ci sono manifestazioni spontanee di protesta, la rete mostra dissensi crescenti, sia sulla riforma del lavoro che su quella delle pensioni; cosa resta se non attaccarsi al mandato dal popolo certificato dai sondaggi? Lo stesso popolo che Monti aveva il giorno prima classificato come forse non pronto per un buon lavoro. E anche questo la dice lunga sulle idee del tecnogoverno: Se il lavoro non è giudicato buono e perché il paese non è pronto.

Torniamo ai sondaggi: non dubito che Monti abbia avuto dati da fonti qualificate ma prima di accettarli e genufletterci in adorazione piacerebbe conoscere l’attendibilità e la dimensione del campione, il senso delle domande, le garanzie sulla veridicità delle analisi etc.; insomma, prima di buttare via la vecchia prassi democratica e delegare il potere sulla base di un po’ di domande a campione qualche verifica sembra opportuna.

In passato l’approvazione popolare in assenza di verifiche democratiche veniva giustificata con le ovazioni plebiscitarie delle piazze; oggi, nell’era del digitale, dell’elaborazione (di dati ma anche di coscienze), della comunicazione e della rappresentazione virtuale, le piazze osannanti non servono più, sostituite egregiamente da grafici e tabelle.

Monti è anche scivolato su una buccia di banana virtuale; infatti il suo sillogismo è stato implicitamente: Il governo ha sondaggi favorevoli se fa cose giuste; il governo fa la riforma del lavoro; il governo ha sondaggi favorevoli; quindi la riforma del lavoro è giusta. Aristotele e Betrand Russell, si sono girati nella tomba, ma questo è un effetto collaterale. Il problema è che mentre stando a un sondaggio di Ipr marketing, il consenso al Governo Monti seppure in calo resta sopra al 50%, invece l’artefice prima della riforma del lavoro, Mrs. Fornero, è caduta nei consensi al 46%.

Fallacia per fallacia, faccio un ragionamento come quello implicito nelle affermazioni di Monti: Il Ministro ha sondaggi favorevoli se fa cose giuste; il Ministro fa la riforma del lavoro; il Ministro ha sondaggi sfavorevoli; quindi la riforma del lavoro è sbagliata. Che facciamo prof. Monti, sulla base dei sondaggi la restituiamo all’Università di Torino, nel giubilo di tutti i lavoratori dipendenti? Diamo un colpo di spugna alla proposta di riforma così come concepita? E pensiamo a un ravvedimento sulla riforma delle pensioni, riparando i danni che sta causando prima che sia troppo tardi?

Non ci siamo. Qualche giorno fa Luca Telese, in un articolo sul suo blog, ha sottolineato come alcune frasi di Fornero, se pronunciate da altri ministri in altri tempi, avrebbero suscitato richieste di dimissioni da parte di Parlamento e Media; bene: se il Re dei sondaggi avesse tentato l’acrobazia che ha tentato Monti in Giappone, avremmo visto proteste a Palazzo Chigi, il parlamento non Pdl insorgere e la maggior parte dei media criticare pesantemente; probabilmente Napolitano avrebbe richiamato al rispetto delle forme della democrazia.

Siccome niente di ciò accade sembra che i movimenti, i partiti (tranne il Pdl che gongola) e i giornalisti non si siano ancora ripresi dallo shock dello spread artatamente utilizzato. Quanto deve ancora durare questo stato di catalessi?

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