S’intitolava Forza Chiara da Perugia – anzi si intitola perché Internet è il regno dove l’effimero diventa eterno e il file gira ancora – il video dove una ragazzina ritrosa viene invitata dal fidanzato a concedersi davanti alla telecamera. Risale al 2002 e rappresenta uno spartiacque nella storia della pedofilia in Italia. Segnala per la prima volta l’esistenza d’una massa di persone che non si fanno scrupoli a scaricare video con minori ripresi in atti sessuali. Circa 500 gli indagati. Insomma non pervertiti “consapevoli” come quelli che il 25 aprile festeggiano la giornata dell’orgoglio pedofilo essendo il giorno in cui il reverendo Lewis Carroll incontrò Alice Liddel. Ma persone convinte di avere solo scaricato qualcosa che circola e dunque è pubblico, comune, globale, innocuo.

Ormai chiunque può trovare, su un comunissimo programma di condivisione file come eMule un quantità impressionante di materiale pedopornografico. Magari ci finisce dentro quasi per caso (si fa per dire) cercando un porno più o meno normale. La velocità di connessione sempre più alta e la diffusione di Internet hanno consentito un’evoluzione: dalle foto (anni ’90) ai video diffusi attraverso programmi di filesharing (normalmente usati per scambiarsi canzoni e film) e persino in clouding con siti come Gigatribe o nei nodi inaccessibili della rete Tor creata per proteggere l’anonimato dei blogger d’opposizione nei regimi dittatoriali. Ma sono soprattutto i programmi peer to peer (tipo eMule, il Mulo digitale) a rappresentare la svolta. Basta digitare nella finestra di ricerca parole chiave generiche come Lolita o più tecniche come pthc (preteen hardcore, pornografia con preadolescenti) o R@ygold,  per veder piovere sul proprio schermo di tutto e di più.

«Ma che male ho fatto? Ho solo scaricato un video che gira su Internet, non ho mai sfiorato un bambino». Quando viene arrestato un soggetto che guarda video pedofili le forze dell’ordine si sentono spesso rispondere qualcosa del genere. Difesa ipocrita o percezione diffusa che scaricare immagini o video pedoporno sia una faccenda banale, che su Internet tutto è concesso e nessuno è colpevole e rintracciabile? C’è stato un boom e una banalizzazione della pedofilia online. Un fenomeno al cui centro c’è un utente della Rete che parla inglese, magari di bell’aspetto e con una buona posizione sociale. Esiste una banca dati in Italia che si chiama Cets e dove vengono inserite le informazioni sugli indagati per evitare sovrapposizioni investigative. La polizia postale, corpo preposto ai reati informatici, insegue tracce immateriali che non sono localizzate, quindi non può sapere in anticipo dove andrà a parare con le indagini, chi si nasconde dietro un ip, il codice identificativo di ogni utenza della Rete e attraverso il quale è possibile risalire al titolare della connessione. Ebbene guardando la localizzazione degli indagati nel database del Cets emerge una concentrazione lungo l’asse Torino-Venezia, il più evoluto dal punto di vista delle telecomunicazioni. In mezzo la Lombardia, zona grigia, a più alta concentrazione di reati, in particolare Milano.

Ma la banalizzazione della pedofilia nasconde un rovescio. Utilizzare programmi di condivisione file comporta molti rischi. I video sono facilmente rintracciabili da parte della polizia – e altre forze dell’ordine – che monitora sotto copertura. Di più. I programmi peer to peer sono impostati in modo che non ci si limiti a scaricare ma si diventi potenzialmente diffusori. E si può essere incriminati anche per diffusione materiale pedoporno. Con pene più gravi rispetto alla detenzione punita con reclusione fino a tre anni in base all’articolo 600-quater (legge n. 38 del febbraio 2006). E come si evince anche dalla giurisprudenza, è punibile pure la «pedopornografia virtuale». Immagini realizzate con bambini veri, chessò fotografati per strada mentre mangiano un gelato, accostati con fotomontaggio a adulti nudi in modo che sembri che abbiano un rapporto con loro. Vedi sentenza dell’11 novembre 2010 del tribunale di Milano con condanna in appello che attende la Cassazione.
Certo (soprattutto per le indagini che riguardano un grande numero di persone), magari il titolare della connessione non è colui che scarica i video e non ne sa nulla perché si tratta del figlio o di qualcun altro che usufruisce della sua linea. Ma difendersi può risultare costoso perché la legge non è al passo con i tempi. Ottenere la copia di un cd rom costa. Ma l’assurdo si ha, lamentano gli avvocati, quando si chiede al tribunale la copia della memoria di un computer (hard-disk). La cifra supera i trentamila euro. Chissà per un nodo Tor!

Ma non bisogna credere che il boom della pedofilia riguardi solo “guardoni”: una parte di loro si procura ragazzini nei paesi tradizionali per questo tipo di traffici: Romania, ex Urss, Oriente, Brasile… Emblematica la carriera di un pedofilo italiano nella cui abitazione sono stati trovati migliaia di foto e video da lui stesso girati. A Costanza, sul Mar Nero, per venti euro al giorno otteneva la compagnia di ragazzini. A procurargliela erano ex minori abusati da turisti stranieri. Poco prima di essere arrestato, aveva messo in piedi una società di produzione con cui rendeva disponibili i video a pagamento. Prima si limitava a condividerli su Gigatribe. Era in contatto con altri pedofili e ne ha incontrato uno (norvegese) a Milano. Si scambiava su chat informazioni con loro assumendo una ventina di personalità diverse, tra cui quella di un giovane fotomodello russo. Tornando a Forza Chiara, la ragazza ha tentato il suicidio, ha dovuto cambiare nome e città eppure in Internet qualcuno ipotizza persino che si tratti di una leggenda metropolitana. Il confine tra reale e virtuale si confonde come quello tra bene e male? Forza Chiara è uno spartiacque epocale anche per un altro motivo: quando viene perquisito il computer di un pedofilo, persino gay, non di rado ha quel video in archivio.

Saturno, 17 Marzo 2012

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