Sulla morte di Stefano Rossi la Procura di Parma ha aperto un’inchiesta. Il giovane 27enne, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Virginia Fereoli e del taxista Andrea Salvarani, si è tolto la vita giovedì sera nella sua cella del carcere di via Burla dove stava scontando la pena definitiva confermata dalla Cassazione il 3 febbraio 2011, che prevedeva due anni in isolamento diurno.

Il giovane la notte del 28 marzo 2006 diede appuntamento in un parco a Felino, in provincia di Parma, alla 17enne Virginia Fereoli, colpevole di averlo respinto, strangolandola e poi colpendola con centinaia di coltellate. Quindi chiese un passaggio fino a Parma a un amico e da qui salì sul taxi di Andrea Salvarani, lo uccise sparandogli con una pistola che si era portato da casa e fuggì a bordo dell’auto rubata. Qualche ora dopo si consegnò ai carabinieri confessando il duplice omicidio. Rossi in questi sei anni di reclusione era stato trasferito in diversi istituti penitenziari, fino al ritorno a Parma in via Burla

L’apertura dell’inchiesta sul suicidio del giovane è un atto dovuto, visto che si tratta di una morte avvenuta in carcere. Al momento nel fascicolo del pm Fabrizio Pensa non ci sarebbero ipotesi di reato né indagati, ma secondo quanto riporta il quotidiano Gazzetta di Parma, la Procura ha disposto l’acquisizione del diario clinico del carcere in cui è archiviata tutta la documentazione relativa allo stato di salute di Rossi.

L’autopsia avrebbe confermato il suicidio come causa della decesso del giovane: Rossi sarebbe morto per avere inalato il gas del fornelletto in dotazione ai detenuti per scaldarsi vivande o cucinare. Per essere sicuro del risultato, il ragazzo ha infilato la testa dentro il sacchetto di plastica dei rifiuti, in modo da non lasciare entrare aria pulita. Quando gli agenti di polizia penitenziaria hanno dato l’allarme, giovedì sera, le sue condizioni erano già disperate. Rossi non ha lasciato nessun biglietto di spiegazione per il suo gesto, anche se il suo avvocato Stefano Molinari, sin dalle prime ore dopo la diffusione della notizia, aveva parlato di “morte annunciata”.

Rossi anche in passato, prima di uccidere Virginia e Salvarani, aveva manifestato più volte l’ossessione per l’idea della morte. Anche per questo il legale durante il processo aveva più volte chiesto che al suo assistito venisse riconosciuta la seminfermità mentale e che il giovane non finisse dietro alle sbarre, ma in un istituto in cui poter essere seguito anche psicologicamente.

Critiche dopo la notizia del suicidio di Stefano Rossi erano arrivate anche dal Sappe, il sindacato autonomo degli agenti di polizia penitenziaria, che punta il dito contro l’utilizzo dei fornelletti a gas nelle carceri. La richiesta è che le bombolette vengano sostituite con fornelli elettrici, visto che più volte sono utilizzate dai detenuti come corpi contundenti contro gli agenti o per inalare gas in sostituzione alla droga. Una richiesta che però non ha ancora avuto nessun riscontro.

di Silvia Bia

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