La “guida tecnica” dei professori si sta rivelando un disastro per il Paese futuro. Il Presidente del Consiglio ha una così radicata storia nei santuari dei poteri della globalizzazione come la Trilateral Commission o le Bildeberg Conferences da non produrre sorpresa alcuna quando impone ricette che vanno all’attacco dei diritti del lavoro, dei sistemi di protezione sociale, dei servizi pubblici. In fondo è quanto ha da sempre dichiarato e garbatamente insegnato e non è certo la Costituzione sociale della nostra Repubblica il suo orizzonte. Monti è un officiante di quello che Luciano Gallino definisce “finazcapitalismo” e non ha quindi altra attenzione per l’ambiente e il futuro del pianeta che non sia valutabile in termini finanziari. Di conseguenza, il suo governo non tiene per nulla in conto quanto a Durban non si è realizzato o quanto a Rio+20 si metterà in gioco per la decarbonizzazione dell’economia e per il cambiamento climatico.

Quello che però ci deve sorprendere è che l’Esecutivo “dei professori” costringa l’intero dibattito del Paese entro la sua visione. L’allineamento alla sua irresponsabilità in campo energetico e ambientale avviene anche da parte degli amministratori delle grandi città, che non sembrano sapersi smarcare dall’ossessione del debito per mantenere le promesse per cui i cittadini li hanno votati. Se si escludono Napoli, Genova e poche altre eccezioni, i messaggi che vengono dal locale a livello istituzionale sembrano appiattirsi sul globale neoliberista. Eppure, il cambio di modello energetico e lo sforzo per ripensare il concetto di vita urbana, offrirebbe ai cittadini dei loro territori una maggiore vivibilità. Nel contempo, si potrebbero promuovere come autentiche “città della biosfera” quegli stessi municipi che hanno a loro tempo nobilitato la civiltà europea e per i quali il modello energetico distribuito corrisponderebbe alla modernizzazione più partecipata e desiderabile.

Il caso deludente di Roma è esemplare. Il sindaco Alemanno aveva sottoscritto addirittura un “Master Plan”, progettato da Rifkin, e presentato al Parlamento Europeo per costituire il riferimento dei futuri sistemi energetici degli enti locali. Attorno al Paes (Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile) di Roma si sarebbe dovuto mobilitare anche il “patto dei sindaci”. Si tratta di un movimento di primi cittadini europei, impegnati a dimostrare in che modo l’amministrazione comunale intende raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di anidride carbonica entro il 2020. Molte delle azioni inserite nei Paes possono beneficiare di strumenti finanziari messi a disposizione a livello europeo attraverso programmi dedicati allo sviluppo sostenibile.

Un’occasione d’oro, attraverso la quale il prestigio di Roma avrebbe dovuto trascinare altre metropoli e dare impulso a una strategia ambientale e occupazionale almeno nazionale in grado di rispondere alla crisi. Apprendiamo invece dai giornali che Alemanno sta facendo marcia indietro, lasciando sulla carta il “Master Plan” e deludendo ogni aspettativa. Monti e Clini non se ne dispiaceranno certo e probabilmente ad Alemanno non si addiceva un ruolo innovativo di tale portata. Ma perché anche nelle amministrazioni di centrosinistra tanto silenzio e così scarsa iniziativa? In fondo, la situazione è drammatica. La conferenza climatica di Durban si è conclusa con un fallimento e il protocollo di Kyoto scade nel 2012! Perché non ripartire dal basso, dalle città metropolitane innanzitutto, per scuotere una situazione in alto così compromessa? Oltre Roma ed Alemanno, ovviamente, dato che dum Roma consulitur, Saguntum expugnatur.

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