Lungi da me l’intenzione di provocare. Ma il caso più clamoroso degli ultimi giorni mi spinge a tornare sulla fiction targata Rai1 e sulla sua qualità. Il caso è quello del biopic su Dorando Pietri firmato da Pompucci e trasmesso domenica e lunedì tra l’indifferenza del pubblico, la forte concorrenza di un altro eccellente prodotto – quello di Sky sulla mafia del Brenta e una scarsa attenzione della critica, arrivata sul tema a cose fatte: troppo tardi.

Peccato! Perché, domenica e lunedì si è visto qualcosa di veramente raro sui nostri teleschermi. Una fiction che raccontava una storia tanto interessante quanto ignota ai più, narrata e recitata al di fuori degli schemi di banale naturalismo che caratterizzano quel tipo di produzione e soprattutto girata con un gusto per le immagini, che non si vede spesso in tv, un gusto cinematografico, direbbero alcuni. Un gusto che non rinuncia riecheggiare un po’ il Bertolucci di Novecento, un po’ il Kubrik di Barry Lindon e un po’ il Ligabue di Nocita nella rappresentazione della vena di geniale follia che serpeggiava nell’Emilia contadina.

Tutto sprecato. E le responsabilità ricadono certo su Rai1, sulla sua linea editoriale piena di stucchevoli vite di santi, di parroci e professoresse improbabili ma capaci di risolvere tutti i problemi del mondo, di suore che gestiscono case-famiglia meglio di un cinque stelle. E’ chiaro: se si abitua un’intera generazione a bere vino in cartoni, sarà difficile, poi, che sappia gustare un barolo.

Ma suvvia! Una mano la potrebbe dare almeno la critica, il giornalismo impegnato e colto, quello che, invece, perde la testa per il nuovo film di Besson, una patacca agiografica – quello sì un santino – sulla vita di San Suu Kyi. Provate a vederlo, se avete tempo da perdere, e poi mi direte.

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