Dopo la trota e la sexysuora arriva il pirla. Nella folla di presunti tangentisti, corrotti e corruttori che occupa i banchi della maggioranza in Regione Lombardia spunta il pirla. Secondo Roberto Formigoni il termine non è lesivo della persona, quindi non è un insulto né un’offesa ma semplicemente un intercalare. Per questo lui ha così apostrofato ieri in aula il capogruppo dell’Idv, Stefano Zamponi: “Pirla, informati, pirla”. Se non avesse saputo che il Tribunale ordinario di Milano con “ben due sentenze ha ritenuto non lesivo della persona” l’epiteto, sicuramente si sarebbe trattenuto dal recapitare il pirla all’esponente dipietrista.

Il Governatore a vita (è al Pirellone dal 1995 e nel 2008, ormai al suo terzo mandato consecutivo e dopo 13 anni, ha riscritto lo Statuto riconoscendosi il diritto a poter essere rieletto presidente per altri due mandati) stamani si è detto “gravemente offeso” dal capogruppo dell’Idv, tanto da invocarne le “scuse”. La colpa di Zamponi è quella di aver ricordato a Formigoni di essere un politico di professione. Con i tempi che corrono è comprensibile e condivisibile ritenere molto più offensivo dare del politico a qualcuno piuttosto che del pirla. O meglio: è offensivo per chi non lo è davvero. Se qualcuno gridasse a Mario Monti “sei un politico”, lui potrebbe giustamente averne a male e adire le vie legali.

Quindi, secondo il Celeste, pirla è meglio. Sarebbe troppo facile e scontato adeguarsi per un giorno allo stile del Governatore e scrivere “Formigoni pirla”. O inventarsi infinite variabili. Da “quel pirla di Formigoni” al “formipirla”. Le rime poi sarebbero esageratamente semplici. “Formigoni quel pirlone che guida il Pirellone”, tanto per dirne una. Ma no: neanche per un giorno prenderemo per buoni i precetti del Celeste. Se qualcuno lo incontra per strada può chiamarlo “pirla”. E magari risponde. Forse se lo dice anche da solo, guardandosi allo specchio. Gli piace proprio la parola, il suono, quella erre che lui rrrrriesce ad arrrrotolarrrrre senza imbarazzo alcuno. Con la stessa disinvoltura con cui indossa magliette di paperino e camice a fiori. La vergogna è un caposaldo della cultura formigoniana.

Il governatore riesce a lanciare moniti agli italiani sulla necessità di fare sacrifici perché c’è la crisi economica parlando da un porto della Sardegna, bello abbronzato e con alle spalle yacht milionari. Funambolo della fuga verbale, gli arrestano e inquisiscono amici, colleghi consiglieri, assessori, braccio destro e sinistro, ma lui imperterrito si professa estraneo. A prescindere. Ha quasi disconosciuto persino Don Verzè, figurarsi se non scarica in tre secondi i suoi fedelissimi assessori. A chi gli ricorda dell’ormai corposo partito degli inquisiti che sostiene la sua maggioranza e rappresenta il 10% del consiglio regionale, lui risponde dando del comunista o ricordando il caso Penati, nel solco del così fan tutti tanto caro ai suoi padri politici.

L’apice però l’ha raggiunto con Antonio Di Pietro. L’ex pm gli ha detto “dimettiti, sei in una giunta di inquisiti” e lui ha risposto: “Zitto tu che hai usato la sanità lombarda”. Che c’azzecca? Sì, è vero: il leader dell’Idv si è curato agli ospedali Riuniti di Bergamo. E’ che proprio ci vive, da circa trent’anni, in un paese alle porte della città orobica. Ma tant’è. Formigoni è così. Gli dai del ladro e lui ti rimbecca stizzito “vergognati tu, che cammini con due gambe”. Gli dai del politico e ti becchi del pirla.

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