Mentre a Roma ci si accapiglia sulla riforma del lavoro, a Forlì va in scena un conflitto che nel suo piccolo contiene tutti gli elementi e le contraddizioni della situazione nazionale. Un verbale di pre accordo firmato solo da Cisl e Uil; un sindacato maggioritario, la Fiom, che parla di “ricatto ai danni dei lavoratori” e boicotta in ogni modo la trattativa; un’azienda, il gruppo Marcegaglia, che promette investimenti e stabilizzazione dei precari rimasti a casa alla scadenza del contratto in cambio del salario di ingresso per i nuovi assunti. Nella sostanza 27 mila euro in meno rispetto agli accordi aziendali per i primi sei anni di lavoro. Oggi l’ultimo atto, con la conta dei voti di un referendum notturno che ha visto partecipare quasi tutti i lavoratori, 323 su 372 operai dello stabilimento. “Forlì come Pomigliano, il ricatto di Marcegaglia è lo stesso di Marchionne”, hanno detto le rsu della Fiom in fabbrica.

A passare di un soffio alla fine è stato il “sì”, col 52% delle schede. Sono stati 168 gli operai che hanno appoggiato la proposta dell’azienda, 141 quelli che l’hanno bocciata. Una differenza ridottissima di nemmeno 30 voti che di certo non mette fine ad uno scontro che da sindacale si è fatto politico, dopo che venerdì scorso il Pd ha chiesto “responsabilità” auspicando la firma di un accordo che tutti sapevano la Fiom non avrebbe mai accettato. La firma di Cisl e Uil è arrivata lunedì, a nemmeno 48 ore dall’appello dei democratici. Il referendum invece il giorno dopo. Le operazioni di voto sono terminate dopo la mezzanotte e oggi restano le polemiche e l’amarezza di chi ha perso. “I lavoratori sono stati costretti a votare sì ad un ricatto. Noi – spiega il numero uno della Fiom in città, Michele Bulgarelli – quell’accordo non lo riconosceremo mai”. Poi le accuse: “Ci sono state pressioni di ogni tipo, dai dirigenti aziendali fino ai capi reparto. Tutti hanno chiesto agli operai di votare a favore, altrimenti l’azienda avrebbe rischiato la chiusura”.

Per ora a uscire vincitrice è dunque il gruppo Marcegaglia, che come da accordi si è impegnata a sbloccare gli investimenti (già in programma) e ad assumere da qui al 2013 venti persone tra stabilizzazioni di precari e nuovi contratti. In totale un risparmio di oltre mezzo milione di euro sul costo del lavoro in sei anni. “Gli abbiamo chiesto il perché, ci hanno risposto che l’azienda era loro e in tutta autonomia avrebbero deciso come risparmiare”, spiega sempre Bulgarelli, che annuncia vertenze sindacali e legali per tutti i futuri neo assunti, oltre ad una guerra di trincea nei reparti. “Si ricordino che in fabbrica ci sono molte cose da decidere, e senza l’appoggio del sindacato maggioritario sarà difficile farlo”. Insomma, una battaglia che non finisce di certo col voto. In prospettiva c’è invece il ruolo del Pd locale, che per il sindacato di Landini “ha deciso di stare con l’azienda e non con i lavoratori”, e la concorrenza tra stabilimenti che non riguarda più paesi differenti, ma città diverse addirittura della stessa regione. “Hanno detto chiaramente che nel nuovo stabilimento di Parma ci sono accordi che permettono un salario inferiore di 300 euro rispetto ai nostri, e che nel caso avrebbero spostato la produzione lì. Questo è un precedente pericoloso”.

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