Il progetto originale della linea AV Torino-Lione era difficilmente difendibile per i costi (23 miliardi) e per l’assurdità di costruire una linea di Alta Velocità essenzialmente per le merci. Il progetto attuale, definito “low cost”, costa un terzo (8 miliardi), ed è di fatto il solo tunnel di base,  ottimizzato per le merci.

Sono soldi pubblici comunque buttati dalla finestra, secondo un grande numero di studiosi indipendenti, perché la linea attuale è in grado di soddisfare ampiamente la modesta domanda di trasporto merci su quella relazione. A questi studiosi indipendenti è stata data poca visibilità dai promotori politici “bipartisan” del progetto. Né si può dimenticare che l’intera rete AV italiana è stata affidata senza gare, ed è costata molto di più di opere del tutto analoghe in altri paesi. Si può supporre dunque che i profitti realizzati dai costruttori e dalle banche coinvolte siano stati molto consistenti, e quindi le pressioni perchè quel flusso di profitti non si arresti, altrettanto consistenti.

E qui arriviamo al paradosso. Le vivacissime proteste degli oppositori locali, e di alcuni facinorosi che si sono spinti a insultare e provocare i poliziotti, e a dare del fascista e del mafioso al giudice Caselli, uno dei più solidi combattenti italiani contro la criminalità organizzata, purtroppo hanno giovato alla causa avversa, e ciò pur essendo le proteste locali pacifiche molto ben motivate (mentre non trovo giustificati i blocchi stradali).

Vediamo perché. Immaginiamo che un’opera sia utile davvero al Paese (ce ne sono molte, grandi e piccole). Ovviamente qualsiasi opera disturba qualcuno, e spesso ne disturba molti. Può “tagliar fuori” attività economiche locali. Può danneggiare attività agricole. Può dare problemi per lo smaltimento dei materiali di scavo. Il cantiere può essere rumoroso o generare polveri o congestione stradale.

Questi danni devono essere minimizzati e adeguatamente compensati. Ma se l’opera è utile bisogna farla, altrimenti le resistenze locali suonerebbero come una manifestazione di egoismo localistico (la sindrome NIMBY, cioè “non nel mio cortile”).

O peggio (è già successo molte volte) suonerebbero come un pretesto per aumentare più del dovuto le compensazioni, a volte con discutibili opere aggiuntive, e a queste iniziative spesso si associano felicissimi i costruttori locali (dando luogo a alleanze “curiose” tra verdi e cementieri, come è avvenuto nel caso delle stazioni sotterranee dell’AV a Firenze e Bologna).

Quindi lo stato non può rispondere bloccando un’opera utile al paese a causa di proteste locali: si creerebbe un precedente devastante, con rischio concreto di fare esplodere i costi a carico della collettività per  compensazioni immotivate, o di non fare più nulla.

Il paradosso è che la Torino-Lione è scarsamente utile, quindi le proteste sono ben motivate. Ma lo stato rischia di creare un precedente. Tanto per chiarire, si rischierebbe di passare da NIMBY (“Not In My Backyard”) a BANANA (Build Absolutely Nothing Absolutely Nowhere Anytime, cioè “non si costruisca assolutamente nulla, mai, e in nessun posto”).

Secondo me andrebbe comunque cancellato anche il progetto cosiddetto “low cost”, ma certo la situazione andrebbe gestita con grande trasparenza, competenza tecnica e capacità negoziali, che oggi sembrano drammaticamente scarse, anche per la drammatica perdita di credibilità degli interlocutori politici e tecnici, che hanno gestito fino ad ora il progetto.

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