Eccola l’ultima volta che abbiamo incontrato Michele Apicella, il nostro miglior amico. Il patetico Arlecchino che lo attende sull’isola non riesce nemmeno a finire il discorso che lui e il suo amico sono già via. Ed essa, finalmente, parla da sola. Michele non si chiamava nemmeno più così, in Caro diario infatti Nanni Moretti interpretava se stesso, ma forse c’è stato un tempo in cui interpretando se stesso ha raccontato perfettamente, alcuni di noi. I peggiori, incluso chi scrive.

Michele Apicella si concedeva il grande lusso di detestare (e di dirlo apertamente) una buona fetta di esseri umani (che preferisse una minoranza lo spiegò sempre in Caro diario all’allora sconosciuto Giulio Base, fermo al semaforo). Anzi di più, come una sorta di Bartleby contemporaneo, di fronte ad una nazione che riusciva nel miracolo (questo sì, italiano) di annegare in superficie e di superficie, onde prevenire ogni fitta allo stomaco, lui aveva “preferenza di no” (come il memorabile scrivano di Melville).

Eri un formidabile Tatì di te stesso, i tuoi detrattori dicevano che ti infilavi troppo nel tuo cinema “Spostati e fammi vedere il film” scherzava Dino Risi, ma era esattamente ciò che adoravamo. Dove avremmo mai potuto incontrare un amico così sincero, coraggioso e sensibile da passare per stronzo dicendo la verità? (La nostra perlomeno).

Michele aveva capito tutto, da subito. Non ci credete? Di cosa si è parlato negli ultimi vent’anni in quei metadibattiti nei quali intellettuali, politici e rottami dei reality si interrompevano reciprocamente al grido di “io non l’ho interrotta lei non m’interrompa”? Si parlava di televisione (anche quando non se ne parlava, ecco la sua potenza) e della sua tracimante bestialità, ma solo a Michele può venire in mente al culmine dello smarrimento di decenza di gridare “pubblico di merda“. (Sogni d’oro)

Nel memorabile e tremendo Bianca Michele inganna l’agonia delle vite sensibili tenendo certi archivi nei quali catalogava gli esseri umani, le loro vite, il modo di amarsi, di lasciarsi. Eccolo il vero mestiere di Michele, altroché insegnante della delirante scuole Marylin Monroe. Come avremmo fatto senza di lui?

Chi avrebbe mai lasciato cadere un pacco di giornali di “Lotta comunista” di fronte all’innocenza di un bambino che di cosa fosse il comunismo se ne sbatteva perché a lui la vita l’avevano già fottuta a prescindere (Io sono un autarchico). Chi avrebbe risposto “Io no, non sono felice che voi ci siate” agli eccessi di due movimentisti parrocchiali che lo inseguono dicendo “Ciao, noi siamo felici che tu ci sia…”? (Palombella rossa). Chi avrebbe atteso di indossare la tonaca di un sacerdote ne La messa è finita per sbattere suo padre fuori da una chiesa, e mollare su due piedi una comunità impazzita sulle note di “Ritornerai” del grande Bruno Lauzi? Chi avrebbe sfogato con  un punteruolo la sua miseria di amante domenicale in spiaggia, su un pallone di alcuni bambini che giocavano? Chi avrebbe mai avuto il coraggo di dire ad un amico sull’orolo del suicidio “Vedi, io sono triste, molto triste, ma sono artistico, tu invece, sei triste squallido…” (Ecce bombo). Ci resta in mente quel memorabile incontro con la giovane che “fa cose e vede gente” che non sa nemmeno chi le ha comprato i vestiti ma teme che i suoi amici scontino “un forte isolamento culturale”?

Ti metteva così tanta tristezza la gente che eri scocciato anche dalla tua, salvo poi difenderla nei bar se sentivi dire “rossi e neri, tutti uguali…”. Ma ricapitoliamo, ti davano del comunista ma la cronica mancanza di fantasia di un certo comunismo ti metteva tristezza, ti davano del misogino ma nei tuoi film hai fatto di tutto per innamorarti, dicevano che odiavi la gente ma passavi i ferragosto a cercare qualcuno con cui parlare, e, non lo dimentichiamo, nel finale di Ecce Bombo c’eri solo tu da Olga. Ti davano anche di quello che ce l’aveva coi fascisti, e su questo (per la legge dei grandi numeri) avevano ragione.

Fotografavi le miserie del potere raccontando l’obbrobrio di chi gli aveva consentito di esistere (tutti noi) e la tristezza degli imperatori attraverso la stupidaggine degli schiavi. Eri il custode delle nostre miserie, quelle più private e quindi più tenere, forse non c’era bisogno che facessi il Caimano, tu stesso dicesti che chi voleva farsi un’idea (legittimamente in un modo o in un altro) su chi fosse Berlusconi, se l’era già fatta, e magari non c’era bisogno neppure che tu implorassi D’Alema di dire qualcosa di sinistra, perché poi quando si è trattato di fare qualcosa di sinistra, è sembrato ancora peggio.

Te lo ricordi che in un pomeriggio d’estate, a Roma, eri in Vespa a pensare a Jennifer Beals (quella di Flashdance) e quando te la ritrovi davanti le fai “Jennifer Beals, lei è Jennifer Beals…”? Ti ricordi la vita che avevi addosso? Era la nostra.

Che è successo Michele? Certo tutti cambiamo e cresciamo, e guardiamo altrove, ma non scordarti di noi. Come spesso accade la nostalgia ce l’ha solo chi la prova; oggi le cose che fai e che dici sono ancora dense e potenti, a tratti sembrano quasi avere memoria di che razza di gioventù hanno vissuto.

Ci piaci ancora, perché l’amore ha come vantaggio la prevenzione, ad un certo punto smettiamo di ascoltare le parole di chi amiamo, ci piace il suono. Ed è proprio il suono che sarà protagonista nel “Concerto Moretti” (domani alle 21 e domenica 18 alle 16, presso l’Arena del Sole di Bologna) della tua nuova sfida. Vincerai anche questa. Un sfida iniziata nel ‘73 con il corto La sconfitta e fatta di oltre trenta lavori fino all’Habemus papam del 2011.

Alla fine di questo strano articolo, ammettiamolo pure, i prevenuti (per troppo amore) siamo noi. Noi che ci preoccupiamo se oggi un cinema in cui si proietta un tuo film si colma di persone che ti hanno odiato quando eri giovane e adesso sembrano rassicurate. Cosa li rassicura, ora, Michele?

Ma soprattutto, tornerai? Non puoi lasciarci adesso, non ora che chi dovrebbe combattere per il potere (i partiti politici) si spintona per sbarazzarsene fintanto che, a “pulizie di primavera” ultimate, alcuni di loro avranno (e Michele, tu lo sai che ce l’avranno)  la faccia di ripresentarsi.

C’è da scommetterci, davanti a quelle facce penserai le stesse cose che penseremo noi. La mattina dopo l’apocalisse è il giorno più duro ma anche il più vero della nuova vita, in questi anni abbiamo fatto una sacco di sciocchezze, tutti. Eppure toccherà anche alla gente come noi rimettere in piedi quel che resta della baracca; se torni ci divertiamo. Promesso.

di Cristiano Governa

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