Freddo. Gelo. Il corpo rallenta, la testa è in letargo. In inverno, il consumo di antidepressivi aumenta considerevolmente, grazie anche a una serie di diagnosi stagionali, come il tristissimo Sad, o Seasonal Affective Disorder, una delle numerose sindromi che ingrassano il Dsm4, il manuale più usato nel mondo, edito dall’American Psychiatric Association per diagnosticare i disturbi mentali (in preparazione la quinta edizione, che uscirà quest’anno).

Cosa sono le malattie mentali? Esiste davvero un mal sottile che colpisce solo l’anima lasciando intatto il corpo? Sappiamo bene che la maggior parte dei disturbi psichici colpisce l’intero sistema mente/corpo: bulimia, anoressia, depressione, ansia…Eppure, la teoria che ha fatto fare miliardi all’industria farmaceutica degli ultimi vent’anni è basata su un principio di riduzione molto semplice: la malattia mentale nasce da uno squilibrio chimico nel cervello. Dunque: si ristabilisce l’equilibrio chimico e, hop!, si è guariti!

In un articolo recente su The New York Review of Books, la psichiatra Marcia Angell discute tre libri americani che criticano il nuovo paradiso artificiale degli psicofarmaci. Oggi, nel mondo, assistiamo a una vera e propria epidemia di disturbi mentali. Un rapporto dell’Ocse afferma che nel 2020 la seconda causa di decessi e d’invalidità sarà la depressione, dopo le malattie cardiovascolari. Cos’è successo? Perché la generazione umana dalla testa più medicalizzata si trova davanti a tanto sfacelo? Secondo la Angell, l’epidemia è provocata dal circolo vizioso che lega l’industria farmaceutica e la professione psichiatrica da quando gli psicofarmaci hanno fatto la loro comparsa nel mercato della medicina di massa, ossia dalla commercializzazione del Prozac nel 1987.

Uno dei libri recensiti, Unhinged. The Trouble with Psychiatry – A Doctor’s Revelation about a Profession (New York, Free Press, 2010) di Daniel Carlat definisce la teoria della malattia mentale come squilibrio chimico nel cervello “un comodo mito”. A partire dagli Anni Cinquanta, ci si rese conto in effetti che, modificando chimicamente i livelli di serotonina nel cervello – un neurotrasmettitore fondamentale nella trasmissione neuronale – molti disturbi bipolari o depressivi di attenuavano. Con la scoperta dei cosiddetti inibitori del riassorbimento della serotonina, come il Prozac, il Citalopram, ilPaxil, etc. oggi si può impedire il riassorbimento della serotonina da parte dei neuroni che la liberano: in questo modo resta abbastanza serotonina nelle sinapsi per attivare altri neuroni e provocare uno stato di benessere. Ma ciò non spiega perché cambiare i livelli di serotonina faccia bene: sarebbe come dire che, dato che i narcotici curano il dolore, il dolore è provocato da una carenza di narcotici! Insomma, la diagnosi del deficit della serotonina nel cervello è stata in inventata da chi ha prodotto i farmaci che la curano.

Altri due libri discutono di questioni più ampie, legate al mercato degli psicofarmaci e agli studi clinici realizzati per testarli: The Emperor’s new Drugs di Irving Kirsch (Basic Books, 2010) e Anatomy of an Epidemic, di Robert Whitaker (Broadway, 2011). Kirsch, anche lui psichiatra, studia da 15 anni l’effetto- placebo. In una serie di studi recenti, ha replicato gli esperimenti fatti dalle case farmaceutiche sugli antidepressivi, mostrando, che, nel 75% dei casi il loro effetto non è maggiore di quello di un placebo: ossia, nelle tre/sei settimane che seguono l’inizio del trattamento, lo stato del paziente migliora: ma migliorerebbe anche se non prendesse nulla.

Il terzo libro è invece dedicato al circolo vizioso che lega le case farmaceutiche agli psichiatri. Prima dell’esistenza degli psicofarmaci, gli psichiatrici erano medici per così dire, trattati dai colleghi come medici di serie B, che si occupavano più che altro di gestione del personale ammalato che di vere malattie. Gli psicofarmaci hanno invece incoronato la psichiatria come “scienza dura”: molti psichiatri ormai si limitano a dare ricette di medicinali, indirizzando i pazienti verso gli psicoterapeuti se sentissero il bisogno anche di una “terapia della parola”. Il nuovo ruolo sociale della psichiatria ha, secondo Whitaker, trasformato totalmente l’immagine della malattia mentale, con l’effetto positivo di de-stigmatizzarla (un depresso è un malato a tutti gli effetti, non un rompiscatole umorale) e, negativo, di cronicizzarla: i successi degli psicofarmaci fanno fiorire nuove diagnosi e nuove malattie che non esisterebbero se quelle medicine non ci fossero. Infatti, secondo Whitaker, assumere medicinali di questo tipo per lungo tempo, cronicizza i sintomi e fa sì che il cervello, da solo, non sappia più produrre i livelli adequati di serotonina o di adopamina, o di altro.

Ci troviamo così in un mondo di cervelli tutti uguali, che per tenersi insieme producono artificialmente neurotrasmettitori al ritmo che è considerato “normale”, nel buio di qualsiasi diagnosi che ci spieghi perché, a un certo punto nel mezzo del cammino di nostra vita, un demone sia venuto a scombinarci la testa, un angelo sia caduto dal cielo e ci abbia guardato con occhio satanico, la terra sia diventata d’un tratto desolata e il freddo e il buio si siano infilati nel più profondo della nostra anima.

Teniamoci stretto il Prozac, perché almeno ci fa bene, ma non pensiamo con questo di aver capito cosa ci succede, o cosa successe a tanti cantori del male oscuro che si attardarono troppo ad ascoltare le sirene e furono ingoiati nei flutti.

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