Un anno è già passato dallo scoppio della rivoluzione siriana. Cosa è cambiato nel paese? Come stanno i siriani? Quale strada sta prendendo questa rivoluzione cominciata per la dignità e la libertà?

A febbraio dell’anno scorso avevo visto che dalla pagina Facebook  “The syrian revolution“, erano partiti i primi richiami alla mobilitazione generale, sull’onda delle primavere egiziane e tunisine. Allora non immaginavo che i siriani potessero arrivare a un anno di resistenza, all’inizio solo pacifica e oggi in parte armata… mi sono ricreduto. In questi giorni ho avuto modo di parlare, via Skype, con alcuni abitanti del quartiere di Bab Amru che mi hanno raccontato quello che è successo in quel quartiere durante l’assedio della città di Homs.

S – “Cosa avete visto?”
I – “Almeno 25mila uomini dell’esercito regolare siriano affiancato da soldati iraniani e Hezballah sono entrati nella città e hanno cominciato a uccidere tutti i ragazzi in età da militare”
S – “Come facevate a sapere che alcuni soldati erano iraniani e altri degli Hezballah?”
I – “Gli iraniani indossavano divise nere che l’esercito regolare siriano non ha. L’esercito libero siriano ha ucciso alcuni uomini che indossavano la divisa siriana ma perquisendo i cadaveri hanno trovato documenti libanesi e le tessere del partito di Hezballah. Solo nell’ultima settimana di assedio almeno 600 civili sono stati uccisi dall’esercito siriano”.
S – “Tu che ruolo hai avuto, eri un manifestante o hai combattutto insieme all’esercito libero?”
I – “Ero un manifestante. Tutto quello che facevamo era riunirci e manifestare di fronte all’esercito libero per inneggiare a loro, dargli coraggio”.
S – “La situazione militare sul campo come era? C’era possibilità di vincere secondo te?”
I – “Gli uomini dell’esercito libero erano scarsamente equipaggiati. E’ proprio per l’impossibilità di fronteggiare l’esercito regolare meglio armato e più numeroso che cantavamo spronandoli”.
S – “Dove siete ora?”
I – “Siamo scappati in Libano. L’esercito libero prima di ritirarsi ha fatto evaquare il maggior numero di civili possibile”.

L’uomo con cui ho parlato, originario di Bab Amro aveva lo sguardo perso nel vuoto, occhi così spenti non ne avevo mai visti.

La strada che sta imboccando la rivoluzione è ancora lunga. Il Cns “Consiglio nazionale siriano” sta perdendo pezzi. Ieri notte, Haitham al-Maleh, Kamal Labwani e Catherine al-Talli, membri di alto rilievo hanno lasciato il Cns, denunciando mancanza di trasparenza e di democrazia. L’organo che vuole e dovrebbe salvare i siriani da un martirio che li ha condotti a quasi 10mila vittime accertate, sta perdendo consenso. Le motivazioni di questo sfaldamento sono molte: mancanza di meritocrazia nell’eleggere i delegati all’estero che per la maggioranza sono stati eletti per “conoscenza”. Sul campo il Cns non ha saputo dimostrare, nel corso di una anno, un lavoro continuo e fruttuoso stabilendo una linea di contatto vera con la realtà interna al paese. I Fratelli musulmani siriani, che occupano una grossa fetta dei seggi del Cns, stanno giocando una partita pericolosa.

Dalla Siria arrivano testimonianze di attivisti e rappresentati delle opposizioni locali che denunciano l’attività di uomini collegati alla fratellanza, i quali si presentano promettendo l’acquisto di armi e medicinali in cambio di appoggio politico. Queste azioni sono strettamente collegate a membri del Cns in quota fratellanza, in particolare a uno, Haytham Rameh. Questa strategia sembra non aver attecchito più di tanto, anzi. Sta mostrando l’intelligenza del popolo siriano che non accetta compromessi politici né di aderire a qualsiasi movimento religioso. Il Cns potrebbe rischiare che uno dei prossimi venerdì venga dedicato alla “sua delegittimazione”. Sembra che l’unico interlocutore credibile, con cui aprire dei canali di dialogo, sia l’esercito libero siriano. In tutto questo scenario complesso il giornale inglese “The Guardian” svela oltre 3mila mail segrete tra Assad e Asmaa. Tra queste ne spicca una mandata dalla figlia dell’emiro del Qatar in cui chiede alla coppia di lasciare la Siria, offrendo asilo a Doha.

Quello che può e deve rimanerci impresso di questo anno, è l’estremo coraggio e il sacrificio di giovani, donne e bambini, morti ammazzati per una causa che tra il 39 e il 1945 ha visto noi europei protagonisti, la libertà.

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