Il ministro dell'ambiente Corrado Clini

La parziale apertura agli organismi geneticamente modificati in Italia da parte del ministro dell’ambiente Corrado Clini ha scatenato un autentico putiferio. In un’intervista al Corriere della Sera, Clini ha espresso chiare valutazioni pro transgenico che hanno fatto saltare sulla sedia associazioni, cittadini e pure politici, compreso il collega ministro alle politiche agricole Mario Catania, che si è subito smarcato dalle affermazioni di Clini. Ma la frittata ormai è fatta.

“In Italia bisogna aprire una seria riflessione che deve coinvolgere la ricerca e la produzione agricola sul ruolo dell’ingegneria genetica e di alcune possibili applicazioni degli Ogm” ha detto Clini. Parole chiare che non hanno bisogno di essere interpretate. Lo chiarisce lo stesso ministro: “In Italia la posizione contro gli Ogm è bipartisan e da sempre compromette, in generale, la ricerca sugli ingegneria genetica applicata all’agricoltura, e alla farmaceutica, e anche a importanti questioni energetiche. Un grave danno”. Insomma secondo Clini bisogna smetterla con i luoghi comuni sugli Ogm anche per evitare i “paradossi”. Quali? Secondo Clini “senza l’ingegneria genetica oggi non avremmo alcuni fra i nostri prodotti più tipici. Il grano duro, il riso Carnaroli, il pomodoro San Marzano, il basilico ligure, la vite Nero D’Avola, la cipolla rossa di Tropea, il broccolo romanesco: sono stati ottenuti grazie agli incroci e con la mutagenesi sui semi”.

Un’apertura verso il transgenico, per il collega Catania, “non è nell’interesse del sistema agricolo italiano, non vogliono gli Ogm nè i consumatori e nè i produttori, quindi credo che la nostra posizione debba restare negativa; questo non vuol dire che non si debba fare ricerca”.

Quanto basta per accendere le polveri in Italia. “Che il ministro dell’ambiente non sappia distinguere fra incroci e Ogm, definendo il riso Carnaroli o la cipolla di Tropea come Ogm, la dice lunga sul livello di disinformazione che esiste e che si vuole perpetuare sul tema” attacca Federica Ferrario, responsabile della campagna Ogm di Greenpeace. La Ferrario va addirittura oltre, ricordando che quando Clini era direttore generale al ministero dell’ambiente, le sperimentazioni Ogm erano state ben 182 contro le 38 del post Clini. La stessa incredulità è stata espressa da Legambiente: “È incredibile che il ministro descriva i nostri prodotti tipici come il frutto di una mutagenesi anziché del nostro ricchissimo patrimonio di biodiversità”.

Ma a reagire duramente non sono stati solo gli ambientalisti. Anche le associazioni di categoria hanno avuto un sussulto alle parole di Clini. Secondo Giuseppe Politi, presidente della Cia (la Confederazione degli agricoltori) “il ministro è partito con il piede sbagliato sugli Ogm. Non condividiamo alcune delle tesi esposte e siamo fermamente convinti che gli organismi geneticamente modificati non servono alla nostra agricoltura diversificata e saldamente legata alla storia, alla cultura, alle tradizioni delle variegate realtà rurali”. Più calmierata, la reazione di Mario Guidi, presidente di Confagricoltura: “Sugli organismi geneticamente modificati è in corso uno scontro fondamentalista, di religione, mentre serve un approccio laico. Gli Ogm sono diventati la Tav del settore agroindustriale, la guerra a tutti i costi”.

D’altronde le prime avvisaglie della dubbia posizione di Clini sugli Ogm si erano già avute venerdì scorso a Bruxelles. Ambientalisti e associazioni di categoria come Coldiretti, avevano denunciato le possibile apertura di Clini agli Ogm in occasione del Consiglio Ue dell’Ambiente. In quell’occasione la Coldiretti aveva ricordato che la contrarietà degli italiani agli Ogm negli alimenti non è cambiata e riguarda il 71 per cento della popolazione, una percentuale che è rimasta stabile negli ultimi cinque anni (dati indagini Coldiretti/Swg). Clini era stato contestato per l’appoggio dato alla proposta di compromesso danese (che detiene la presidenza di turno dell’Ue) in merito alla possibilità di uno Stato membro di vietare la coltivazione di Ogm all’interno dei propri confini. Una proposta avanzata nei mesi scorsi dalla Commissione europea, rafforzata dal Parlamento ma indebolita dai danesi al fine di includere anche quei Paesi pro Ogm come Spagna e Gran Bretagna. Secondo Simona Capogna, vicepresidente dell’associazione “Verdi ambiente società”, il compromesso danese conteneva una serie di punti inaccettabili, che avrebbero compromesso fortemente la libertà degli Stati membri di evitare la coltivazione di Ogm sul proprio territorio. “Si pensi che tale libertà degli Stati sarebbe dovuta essere contrattata direttamente con le aziende produttrici di sementi transgeniche”. Versione confermata da Marco Contiero, responsabile agricoltura di Greenpeace. “Bravi i danesi che hanno iniziato a lavorare sulla proposta di divieto Ogm, ma su argomenti del genere non si deve correre”.

Dopo la bocciatura del compromesso danese per il no di 7 Stati su 27 se ne riparlerà di nuovo a giugno. Tra chi ha detto no ci sono Gran Bretagna (da sempre quartier generale degli interessi del transgenico in Europa), Irlanda, Slovacchia, Francia (per motivi meramente politici), Germania, Belgio e Spagna (dove si coltiva circa il 70% del mais transgenico coltivato in Europa). Sarà proprio al consiglio di giugno che i 27 cercheranno un nuovo accordo e Clini dovrà difendere la posizione dell’Italia. A questo punto sorge spontaneo domandarsi quale.

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