Con questo motto il Centro studi per la scuola pubblica ha lanciato l’appello alle maestre e ai maestri d’Italia per un mese senza voti facendo provare ai bambini e ai loro genitori il piacere dell’apprendimento per se stesso e non per la “moneta” del voto. La coraggiosa e intraprendente idea nasce dal convegno di Bologna sulla “Didattica Resistente/Resiliente” svoltosi a fine febbraio: l’invito è a liberarsi dei voti, almeno nella pratica didattica del mese di aprile.

Una proposta che applico da sempre, dimenticando totalmente il problema di catalogare con un voto i miei alunni: basti dire che per anni il mio registro è rimasto vuoto fino alla fine del quadrimestre per l’assolvimento burocratico richiesto per le schede di valutazione.

A Bologna, mi son sentito un po’ meno marziano: mi sono accorto che a “resistere” all’assedio nei confronti della scuola pubblica siamo in tanti.

Ma perché fare un mese senza voto? “Per la promozione di una relazione didattica rispettosa della sensibilità dei bambini e delle bambine, per una valutazione plurale, creativa e multiforme che valorizzi le potenzialità e non schiacci sulle capacità, che sia stimolo alla crescita e non educazione alla competitività”, spiegano i promotori dell’appello.

Reintrodotto nella scuola primaria dal ministro Gelmini, il voto numerico riduce la relazione didattica a un esame continuo, fomenta la competizione tra scolari, sposta l’attenzione dal contenuto dell’apprendimento al suo esito numerico. Ho assistito in questi anni d’insegnamento persino a diatribe in collegio docenti in cui insegnanti inferociti dibattevano sull’utilità del 4 oltre che del 5 chiedendo di introdurlo nella pratica. Da Bologna ora la rivolta contro i voti!

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