“In principio era il Verbo” (Gv 1,1). In realtà “in principio erat Verbum”. Con queste parole Giovanni comincia il suo Vangelo facendoci risalire al di là dell’inizio del nostro tempo, fino all’eternità divina. L’espressione fa eco a quella della creazione: “In principio Dio creò il cielo e la terra” (Gn 1,1). Il Verbo si riferisce all’eternità.

Al pari, per l’avvocatura si vuol far credere che “in principio erano le liberalizzazioni, pretese dall’Europa”. Il Vangelo secondo gli apostoli Bersani e Catricalà. Eternità e Vangelo dettati in realtà da Confindustria che da anni pretende il raggiungimento di 3 obiettivi: a) assicurarsi una buona fetta del mercato dell’avvocatura; b) abbattere i costi “legali” per sé; c) allentare le forme di tutela dei consumatori verso i poteri forti (banche, assicurazioni, energia etc.).

Secondo l’autorevole Istituto Bruno Leoni “liberalizzare significa rimuovere la tutela statale da un settore per accompagnarlo verso un sistema retto dalle regole del mercato. Il che significa che non c’è bisogno di liberalizzare laddove già esiste un ordine concorrenziale” (IBL, Indice delle liberalizzazioni, 2007, 2 ss.).

Ci accorgiamo però che la professione forense in Italia è molto libera perché non sconta un monopolio né sbarramento (anche se poi l’IBL asserisce che “Il sistema delle professioni intellettuali italiane è liberalizzato al 46 per cento” rispetto a quello inglese). La professione intellettuale partecipa (producendo ricchezza) ad una rilevante fetta del nostro Pil. Professione intellettuale, quella forense, unica nel suo genere poiché dedita alla primaria tutela dei diritti. Uno dei due pilastri della giustizia, dunque un pilastro della democrazia.

Un bel progetto quello di Confindustria, non c’è che dire. Lobby trasversale e radicata nei gangli del potere, che persegue un disegno molto pericoloso per la collettività: 1) la destrutturazione dell’avvocatura e dei suoi principi fondamentali (libertà, autonomia, indipendenza, preparazione tecnica e controllo deontologico); 2) l’indifferenza se non la compiacenza verso l’inefficienza della giustizia.

Il verbo sperticato da Bersani prima e Catricalà poi, “Ce lo chiede l’Europa” è palesemente falso. Da ultimo, “liberalizziamo” perché è necessario per rilanciare l’economia e ridurre il debito pubblico. L’Europa ha invece indicato ben altre strade. Quale sia poi il link tra avvocatura “liberalizzata”, economia e debito pubblico, nessuno l’ha spiegato. Infatti non c’è.

Non chiede ciò la c.d. direttiva Bolkenstein tesa a eliminare le restrizioni alla circolazione transfrontaliera dei servizi, incrementando trasparenza e informazione dei consumatori, per consentire più ampia facoltà di scelta e migliori servizi a prezzi inferiori. Infatti per quanto riguarda la professione legale, la direttiva impone misure sulle comunicazioni, rese disponibili “in modo chiaro” e “prima che il servizio sia prestato”, informazioni sulle regole professionali, sui codici di condotta cui il professionista è assoggettato, sull’esistenza di organismi di conciliazione per la risoluzione delle controversie (art. 22).

Non lo chiedono le Risoluzioni di Strasburgo e le sentenze della Corte Ue, che hanno invece ribadito la necessità che l’avvocatura si riconosca in uno statuto di valori essenziali a tutela dell’interesse pubblico dei cittadini, per attuare la garanzia del diritto di difesa e l’accesso alla giustizia [Parlamento europeo, risoluzioni 5 aprile 2001, 16 dicembre 2003, 23 marzo 2006; Corte di Giustizia, sentenze Arduino del 2002 (causa C-35/99), Cipolla e Macrino (cause C-94/04 e C-202/04), 29 marzo 2011 (causa C-565/08), che osservano come le tariffe forensi italiane siano compatibili con il Trattato Ue).

La furia occulta di Confindustria, che guida la mano degli esecutivi, vuole liberalizzare un settore già ampiamente libero. L’avvocatura italiana è passata in 25 anni da 50.000 avvocati a oltre 200.000 ed ha assistito allo stabilimento nel nostro paese di numerosi studi stranieri. Una professione ultra libera. Abbiamo la maggiore proporzione europea tra cittadini ed avvocati. L’avvocatura italiana si è “proletarizzata”, intendendo con ciò l’accesso a tutti i soggetti meritevoli (laurea + pratica + esame di Stato). Processo equo, poiché il 50% ha meno di 45 anni ed è composto da donne. Negli ultimi anni il reddito medio è stato fortemente eroso e la giovane avvocatura paga il prezzo maggiore, dovendo scontare l’avviamento e la riduzione della fetta di mercato.

Abbiamo il più alto rapporto europeo in proporzione tra cittadini ed avvocati. Una delicata professione che certo ha necessità di modernizzarsi (con: tariffe chiare, apertura al preventivo, Ordini rigorosi, apertura alla pubblicità, specializzazioni) ma salvaguardando i principi fondamentali posti anche e soprattutto a tutela della collettività.

Invero, gli esecutivi, ben spalleggiati dai mass media, hanno creato un’enorme mistificazione: a) si interviene perché ce lo chiede l’Europa; b) dobbiamo liberalizzare la professione forense; c) l’avvocatura è una casta; d) interveniamo per ridurre il debito pubblico e rilanciare l’economia. Non ultimo: e) dobbiamo deflazionare il contenzioso invece di rendere efficiente la giustizia. Tutti falsi.

Tale attacco ha condotto l’avvocatura a redigere il “Manifesto dell’Avvocatura unita” il 14 gennaio 2012, su impulso del Consiglio Nazionale Forense, con cui è stato smontata ogni mistificazione. E ad indire uno sciopero nei prossimi giorni.

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