Dopo 12 anni di guerra, uccisioni, perdite, frustrazioni, si sono stufati di starci: non vedono l’ora di venirne via, e, con la testa, non ci sono più. A meno di non voler pensare male – e con tutto quel che succede, ce ne sarebbe pure motivo -, i militari americani in Afghanistan stanno ‘sbarellando’ (e di brutto). A farne le spese, la popolazione locale, ma anche l’inefficiente e traballante governo Karzai – e, lì, per quanto ci concerne, poco male -: la guerra più lunga mai combattuta dagli Stati Uniti non ha prodotto democrazia e benessere, ma un Paese instabile, i cui assetti difficilmente reggeranno quando, nel 2014, le truppe internazionali se ne saranno tutte andate.

Passi il fuoco amico, con i droni che faticano a fare la differenza fra il pashtun buono e quello cattivo, che sarebbe un talebano: in dodici anni di conflitto e di orrori, le popolazioni afghane ci si sono ormai abituate alla trafila consueta, l’errore “tragico”, i “danni collaterali” – leggi, vittime innocenti -, le proteste, le scuse, l’inchiesta e, alla fine, l’indennizzo.

Ma il bestiario di queste ultime settimane fa pensare a soldati ben al di là della crisi di nervi: le truppe, magari inconsciamente, adesso che sta per iniziare il ritiro, allentano i vincoli della disciplina e trasformano la paura in aggressività. Si possono forse spiegare così il vilipendio ai cadaveri dei nemici, urinandoci sopra, per di più in un video che finisce su Youtube; poi, i corano bruciati in una base del Nord; e ancora la strage di donne e bambini in due villaggi nei pressi di Kandahar, nel Sud.

In attesa che l’immancabile inchiesta accerti se è stata l’azione di un singolo soldato “colto da raptus”, o se invece si sia trattato di un’azione di gruppo, “militari ubriachi” che sparavano all’impazzata, “ridendo”, i presidenti americano e afghano recitano l’uno il ruolo del contrito (“sono sotto shock”, dice Barack Obama) e l’altro dell’irritato (“omicidi imperdonabili” e, per di più, “intenzionali”, afferma Hamid Karzai).

Ma Obama, forse, si permette pure di pensare male, perché è difficile ammettere che soldati bene addestrati commettano nefandezze del genere in serie, in un contesto, per di più, di pressione militare inferiore al passato. L’ipotesi che qualcuno al Pentagono voglia mettere i bastoni tra le ruote al presidente, in vista delle elezioni di novembre, non è peregrina: un riacutizzarsi della tensione in Afghanistan impedirebbe a Obama di presentarsi agli americani come il “pacificatore”, il presidente che ha portato a casa i ragazzi dall’Iraq e ha cominciato a farlo dall’Afghanistan.

Probabilmente, un “dottor Stranamore” della guerra al terrorismo non esiste. Ma pensarlo non è peccato.

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