Parla poco, molto poco, fiuta il vento, e alla fine fa di testa sua, scegliendo sempre la soluzione che pensa possa garantirgli il massimo reddito politico. E’ il “metodo Rajoy”, il suo marchio di fabbrica, quello che gli ha consentito di sopravvivere otto anni come leader dell’opposizione e, al momento opportuno, dare l’assalto decisivo alla conquista del potere. In Spagna ormai lo conoscono bene, ma a Bruxelles il suo esordio farcito con colpo di mano a tradimento ha sorpreso non poco. Il neo-premier popolare, ancora apparentemente spaesato in sede comunitaria (influisce anche la sua nota allergia per le lingue straniere) ha rovesciato il tavolo appena tre ore dopo aver firmato insieme ad altri 24 leader Ue il “fiscal compact”, il patto sul rigore finanziario che si suppone vincolante.

L’annuncio – venerdì 2 marzo – in conferenza stampa, senza aver consultato preventivamente i partner europei: la Spagna fissa in modo unilaterale l’obiettivo del deficit per il 2012 al 5,8 per cento, anzichè il 4,4 richiesto dalla Commissione. Una scelta “sensata e ragionevole”, nelle parole del capo del governo di Madrid. Valutazione dalla quale dissente il guardiano del rigore, il commissario Olli Rehn, che la definisce “grave” e invita la Spagna a definire al più presto una strategia credibile che permetta di raggiungere entro il prossimo anno l’obiettivo irrinunciabile del 3 per cento.

Mariano Rajoy sa di giocare una partita delicatissima, ma cerca sempre di calcolare freddamente il rapporto costi-benefici. Il 2011 si era chiuso con un deficit dell’8,5 per cento, due punti e mezzo in più rispetto alle previsioni del governo Zapatero. Accettare supinamente le regole di Bruxelles avrebbe significato dover imporre un piano d’austerità da 40 miliardi di euro. Una cura da cavallo eccessiva, improponibile per un Paese che è già entrato in recessione e che, secondo l’ultimo quadro macroeconomico esposto dal ministro Luis de Guindos, dovrebbe registrare una caduta del Pil dell’1,7 per cento a fine 2012. In questo contesto, anche le prospettive sul fronte dell’occupazione sono sempre più nere: secondo le previsioni dell’esecutivo verranno distrutti altri 630mila posti di lavoro e il tasso di disoccupazione arriverà al 24,3 per cento, quasi due volte e mezzo la media europea.

Con il suo “no” a Bruxelles, Rajoy spera così di dover fronteggiare un rischio limitato: un’eventuale sanzione della Ue, ancora per niente scontata, e un probabile aggravarsi del nervosismo dei mercati, che ha già avuto i primi ricaschi sull’andamento dello spread tra i bonos e i bund tedeschi. Il nuovo obiettivo di deficit fissato dal governo di centro-destra comporta comunque un pesante piano d’austerità da circa 30 miliardi (comprensivi dei 15 del primo pacchetto di misure varate il 30 dicembre scorso, quando venne imposto un forte aumento dell’Irpef).

Questa volta, nei piani di Rajoy, il peso dei sacrifici dovrebbe ricadere soprattutto sulle amministrazioni regionali, in gran parte responsabili del fatto che il tetto del deficit dello scorso anno sia stato abbondantemente sforato. La maggior parte delle Regioni sono governate dal Pp, il partito del premier, ma questo non ha impedito all’esecutivo di attribuire a Zapatero e ai socialisti le colpe di una gestione poco accurata della finanza pubblica. Chiunque sia il responsabile di questa situazione, se i tagli peseranno principalmente a livello locale, il rischio è che a pagarne le spese possano essere settori delicati come la sanità, l’educazione o l’assistenza agli invalidi.

Ma i dettagli non si conosceranno prima della fine di marzo, quando il governo presenterà – con un ritardo più volte criticato dalla Commissione europea – la nuova legge di bilancio. Anche in questo caso, Rajoy ha fatto bene i suoi calcoli: il 25 si vota in Andalusia e nelle Asturie, meglio evitare annunci-choc che potrebbero compromettere il risultato. Per il momento, il ministro dell’Economia Guindos si limita ad annunciare un taglio di spesa complessivo del 4,7 per cento, che nel caso dei ministeri arriverà al 12,5 per cento, mentre gli investimenti pubblici verranno ridotti del 40 per cento. Fredde percentuali, che non fanno presagire nulla di buono. I sindacati, già sul piede di guerra per una riforma del mercato del lavoro che rende molto più facili i licenziamenti e penalizza la contrattazione collettiva, sono pronti a riconquistare le piazze. Il primo sciopero generale dell’era Rajoy potrebbe scattare molto presto.

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