Nei giorni scorsi le armoniose intese tra Pd, Pdl e Udc (l’ultima sulla legge elettorale con sbarramento per fare fuori tutti gli altri) ci avevano convinto che il Pun, Partito Unico Nazionale, fosse ormai in fase nascente. Del resto, non era stato questo l’auspicio di Berlusconi che, una volta esaurito l’appoggio al governo Monti, le tre sigle si coalizzassero per spartirsi l’Italia da qui all’eternità (magari con lui assiso al Quirinale)? Non avevamo però calcolato che anche in politica, come in tutte le attività umane, esiste e agisce la legge del più forte. Vale anche per il Pun, dove il più forte non è difficile indovinare chi sia. Osserviamo prima di tutto il Pd, mentre nella giornata di ieri celebrava il punto più alto (o più basso) del suo autolesionismo tafazzista.

Tralasciamo per carità di patria le primarie di Palermo finite a schifìo tra denunce e carte bollate. E non parliamo della Val di Susa con le popolazioni prese a ceffoni sul Tav da quello stesso partito per cui in maggioranza hanno votato. E la Fiom? Chissà, forse venerdi a qualche metalmeccanico avrebbe fatto piacere vedere in piazza San Giovanni la rappresentanza di una forza politica che una volta si dichiarava di sinistra. Giammai. L’ordine del partito non ammette repliche: restare tutti a casa. C’è da meravigliarsi allora se, mentre il più debole si svena, il più forte rovescia il tavolo? Perfino Alfano si permette di ruggire intimando a Monti di non impicciarsi di televisioni e giustizia, terreni su cui il berlusconismo non ammette intrusioni.

Per esempio, il partito Mediaset ha già deciso che le frequenze non si toccano e che la Rai deve restare sotto la sovranità di Arcore. Bersani ha gridato: posizione inaccettabile. Poi è andato a farsi una birra.

Il Fatto Quotidiano, 8 Marzo 2012

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