«Forse un giorno ci troveremo costretti a dire: Dio, rendici il conflitto di classe!». Parole di Albert Otto Hirshmann.

Di questi tempi la celebre battuta del vecchio saggio di Princeton risulta tremendamente attuale. Alla luce di quanto è successo e sta succedendo nel nostro Paese, le cui classi dirigenti sono cronicamente allergiche alle rivoluzioni perché geneticamente controriformiste; dunque asserragliate nel Palazzo di pasoliniana memoria (solo una volta – con la Resistenza antifascista – è sfuggita loro di mano la leva del controllo di qualsivoglia spinta al cambiamento. Ma in quel tempo il dominio “palaziale” era letteralmente evaporato insieme all’Italia tutta intera: occupata dai Nazisti… bombardata dagli Alleati… E – comunque – il “Vento del Nord” finì rapidamente soffocato negli sfinimenti del Ponentino romano).

Infatti siamo appena usciti da quasi un ventennio di regime palesemente reazionario per infilarci subito in una fase di tacita restaurazione, con il governo dei professori presieduto da Mario Monti; una vita – la sua – trascorsa nei santuari nazionali e internazionali dell’Ordine Vigente: dalla Bocconi alla Trilateral.

Dunque, “governo di classe”. Di quale “classe” si tratti è ancora un po’ presto per stabilirlo con assoluta certezza: i ceti proprietari benpensanti? Le corporazioni di partito? Le centrali finanziarie “ombra”? In ogni caso e sempre dalla parte di referenti privilegiati, che non nutrono la benché minima intenzione di cedere spazio a chi reclama diritti generali ed equità.

Anche se sta crescendo il disincanto che spazza via tante illusioni sulle neutralità tecnico-professorali. E Mario Monti appare sempre di più quello che è veramente: un curatore fallimentare, altro che “salvatore della Patria”.

Le lotte del lavoro – di cui ancora una volta Fiom si fa promotrice – sono la risposta che nasce dal sociale come dente d’arresto dell’ingranaggio in movimento. Sicché trascendono i pur importantissimi obiettivi dichiarati per diventare un momento di aggregazione e mobilitazione che ribadisce principi universali irrinunciabili, di Giustizia e di Libertà. In altre parole, contro la sommatoria corporata degli interessi particolari e degli individualismi possessivi, l’organizzazione dei metalmeccanici in lotta finisce per assumere il ruolo di “classe generale”: il soggetto che interpreta e promuove i bisogni e le aspirazioni di strati molteplici della società nazionale penalizzati dalla svolta restaurativa in atto (seppure a sua volta presentata come “responsabile” e “senza alternative”. E così potrebbe risultare, qualora si accetti che il quadro concettuale di riferimento venga tracciato seguendo le coordinate illusionistiche del pensiero unico neoliberista).

Se questo avverrà, se l’Italia intera che rifiuta la normalizzazione conservatrice saprà ritrovarsi il 9 marzo a fianco degli operai in piazza, si potrebbe assistere ancora una volta alla nascita di quella Sinistra Sociale che attraversa come una stella cometa la nostra intera storia nazionale promuovendo le ragioni della democrazia dal basso. Volo luminoso quanto di breve durata, ogni volta che apparve all’orizzonte. Per una semplice ragione: la soggettività del sociale non ha mai trovato una vera Sinistra Politica con cui interagire, da fecondare. E oggi non paiono esserci elementi che assicurino esiti diversi. La qual cosa – tuttavia – non è un buon motivo per rinunciare a far sentire la propria voce dissenziente. Magari soltanto per creare opportuni inciampi ai fautori della restaurazione (e ai loro ausiliari). Per testimoniare un’idea diversa di civismo e socialità, che altrimenti verrà silenziata.

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