Nel Super-Martedì delle primarie repubblicane –si vota in dieci Stati-, a vincere davvero è un democratico, il presidente Barack Obama: i suoi rivali continueranno per un po’ ad azzuffarsi fra di loro. A perdere , ma lui ancora non lo ammette, è Newt Gingrich, l’ex speaker della Camera, uno ‘zombi’ della politica americana, che s’impone solo nello Stato di casa, la Georgia: troppo poco per ridare smalto alla sua claudicante candidatura.

La partita cruciale è quella dell’Ohio, uno Stato chiave nella corsa alla Casa Bianca: nessun repubblicano è mai stato eletto presidente senza vincere qui. Il testa a testa fra Romney e Santorum è serrato: la spunta Romney e conta, sul piano statistico e anche sostanziale; ma sul piano dei delegati, quelli che servono per la nomination alla convention di Tampa a fine agosto, è quasi fifty-fifty.

Oltre che in Ohio, Mitt Romney s’impone in quattro Stati: il Massachusetts, dove vive e dove è stato governatore; il Vermont, che sta nel New England e che gli era conteso dal libertario Ron Paul; la Virginia, dove Gingrich e Santorum non erano sulla scheda; e l’Idaho, dove la comunità mormone è forte. Successi, dunque, non particolarmente ‘pesanti’, Ohio a parte: Romney non trova il colpo da ko –ed è quello che manda nel suo repertorio-.

Santorum vince in Tennessee e in Oklahoma –nel Sud e nella Cintura della Bibbia- e, più sorprendentemente, nel North Dakota. Gingrich prende solo la Georgia, che, però, ha il bottino di delegati più ricco della giornata, ben 76. Manca alla conta l’Alaska, per una questione di fusi orari.

Se consideriamo gli Stati, se ne sono pronunciati 22 nei due mesi di queste primarie: a otto mesi esatti dall’Election Day del 6 novembre, Romney s’è imposto in 12, Santorum in sette, Gingrich in due. Mancano, però, fra gli altri i tre più popolosi: New York, Texas e California.

Se facciamo la conta dei delegati, ne sono stati finora assegnati quasi 800, un terzo circa del totale. Romney è nettamente in testa: fra quelli che aveva già e quelli che ottiene nel Super-Martedì, s’aggira sui 400, un po’ più d’un terzo dei 1144 necessari per garantirsi la nomination. Santorum ne ha circa la metà, ma potrebbe accorciare radicalmente il distacco incamerando quelli di Gingrich, quando l’ex speaker deciderà di ritirarsi –per farlo, potrebbe però aspettare le primarie del Texas, dove

i delegati in palio sono ben 155 e che potrebbero essergli favorevoli. Romney non esce consacrato dal Super-Martedì: continua a difettargli il carisma, oltre che il colpo da ko. Santorum si conferma solido al di là delle aspettative; ma l’ex senatore cattolico e d’origini italiane ha bisogno che il campo ultra-conservatore e religioso, attualmente diviso tra lui e Gingrich, si riunisca sotto la sua leadership. La corsa continua, con tappe al Sud –Alabama e Mississippi- e nel Centro –Kansas-, sulla carta non favorevoli a Romney il moderato, mormone milionario.

In tutta l’Unione, due persone sono felici che l’incertezza si mantenga: Obama, che non deve spendere soldi per attaccare il suo rivale –ci pensano gli aspiranti alla nomination a denigrarsi fra di loro-; e Sarah Palin, che vota in Alaska senza dire chi e che non esclude nulla per il suo futuro. Candidata nel 2016? Forse. E perché no nel 2012? Se Romney e Santorum finissero in stallo, il che è possibile, magari chiamano lei a salvare, o ad affossare definitivamente, la ‘patria’ repubblicana.

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