SpagnaLa Spagna è arrivata al capolinea: dopo aver sforato gli obiettivi di deficit del 2011 con un record dell’8,8 per cento sul Pil ha annunciato che non riuscirà a rispettare l’obiettivo del 4,4% di maggiori spese rispetto alle entrate fiscali ed arriverà al 5,8 per cento nel 2012. Questo nonostante una manovra fiscale da 37 miliardi di Euro che il nuovo governo Rajoy si accinge a varare. Con una disoccupazione al 23 per cento il quadro è da disastro economico, ma nonostante questo la Commissione Europea continua a chiedere a Madrid di rientrare nella previsione originaria di deficit operando tagli maggiori. La risposta seccata è stata data da Rajoy sabato alla stampa “ il budget 2012 è una questione di sovranità spagnola”.

Tutta l’architettura finanziaria messa in piedi dall’establishment europeo si basa sulla sottrazione di sovranità ai singoli stati per consegnarla ai burocrati di Bruxelles supervisionati dalla Cancelleria tedesca. La Spagna si è nascosta negli ultimi tre anni sperando che nessuno andasse a guardare a fondo nei suoi conti, non ha mai alzato la voce contro le politiche francotedesche e si è apparentemente adeguata alle direttive le venivano recapitate, ha usufruito ampiamente dell’abbondante liquidità fornita alle sue banche dalla Bce e ne ha approfittato per mettere in piedi complicate strutture finanziarie che non sono contabilizzate nel bilancio pubblico ma che servono per ottenere prestiti dalla Bce. Le proprie banche hanno usato l’ondata di liquidità per comprare i bonos, equivalenti dei nostri Btp, contenendo in questo modo gli spread sui Bund tedeschi fino a portarli ad un irrealistico 2 per cento, inferiore a quelli italiani. Ora lo spread italiano e spagnolo sono affiancati ma la Spagna ha il fiato più corto, il settore immobiliare continua a languire gli istituti di credito iberici devono ogni anno accantonare miliardi di euro di perdite, i consumi interni sono al palo e le esportazioni non possono contare su un tessuto industriale sviluppato. Per la prima volta la Spagna si troverà a fare i conti con la propria permanenza nell’Euro, sarà chiamata a decidere se imporre ancora lacrime e sangue senza prospettive ai propri cittadini o se sfidare le sanzioni europee a muso duro e mettere in crisi la governance della moneta unica.

Chi sembra aver capito che l’aria sta per diventare improvvisamente tesissima è il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, che ha chiesto, con una lettera a Mario Draghi “garanzie per i crediti che la Germania vanta nei confronti delle banche centrali degli altri paesi dell’area euro”. In sostanza i tedeschi per poter continuare a collaborare alle politiche monetarie permissive hanno chiesto in cambio di vedere tutelati i propri interessi da ogni rischio, compreso quello che uno dei paesi membri possa lasciare la moneta unica. I mille miliardi di euro di liquidità dati alle banche dalla Bce sono stati determinati nell’anestetizzare il mercato e far si che le pessime notizie provenienti da Madrid e da Francoforte non avessero impatto sulla tenuta dei mercati obbligazionari, ma fino a quando potrà durare? L’Italia deve ancora emettere 320 miliardi di titoli di stato e la Spagna 200 miliardi, mano a mano che le banche useranno la liquidità per comprare il debito dei propri stati diminuiranno le disponibilità e ci sarà bisogno di compratori dall’estero.

Ma ci sarà qualcuno disposto a puntare su una nazione che non da segni di ripresa e che è ormai totalmente dipendente dalle elargizioni della Bce? E qual è il rischio di trovarsi di fronte a nuovi “aggiustamenti” delle previsioni di bilancio? Nelle sale cambi di mezzo mondo nessuno è disposto a scommettere su Madrid, presto il detonatore della crisi del debito europeo si sposterà dalla Grecia alla Spagna, ma questa volta le dimensioni, le cifre ed i rischi sono diversi. Un buco di mille miliardi di euro rischia di creare un gorgo capace di inghiottire tutti, anche l’Italia con il suo bel governo tecnico.

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