Il 29 febbraio la Bce presta 530 miliardi per tre anni alle banche europee, una somma simile a quella già elargita in dicembre. Soldi che serviranno a finanziare le imprese e le famiglie? L’esperienza del prestito precedente fa pensare di no. Quell’operazione è servita a sostenere la domanda di titoli di Stato. Se la Bce assumesse il ruolo di prestatore di ultima istanza, favorirebbe la ripresa della raccolta bancaria tramite i canali normali. Ora, al contrario, l’economia continua a subire una pesante stretta del credito, che finirà per aggravare la recessione in atto.
di Angelo Baglioni, 29.02.2012, lavoce.info

Quando la Bce prestò quasi 500 miliardi alle banche europee con l’operazione a tre anni del 21 dicembre scorso, tutti speravamo che questi soldi servissero a finanziare le imprese e le famiglie. Ma così non è stato, almeno in Italia. Le banche italiane hanno in buona parte utilizzato i soldi presi a prestito dalla banca centrale per acquistare titoli di Stato, contribuendo alla riduzione dei tassi d’interesse sul nostro debito pubblico (a cui ha naturalmente contribuito anche la credibilità del governo Monti). Nello stesso tempo, hanno stretto l’offerta di credito, sia riducendo la quantità sia aumentando il costo dei finanziamenti. Pertanto, il successo dell’operazione di dicembre è stato limitato. L’unica consolazione è che probabilmente, se non ci fosse stata, la stretta sul credito sarebbe stata ancora più feroce. I soldi ricevuti dalla Bce sono stati usati anche per rimborsare obbligazioni bancarie, che sarebbe stato troppo costoso rinnovare ai tassi di mercato: senza questa possibilità, le banche avrebbero dovuto ridurre ancora di più i finanziamenti all’economia.

Il credit crunch e la strategia della Bce
La stretta creditizia è dovuta al peggioramento del quadro economico, che fa aumentare il rischio di credito. Ma è dovuta anche alle difficoltà delle banche nel reperire finanziamenti: il mercato finanziario di tutta l’area euro soffre della crisi del debito sovrano. Le banche italiane soffrono di più, poiché risentono del rischio-paese che grava sull’Italia: per questo motivo, la raccolta di finanziamenti è divenuta più scarsa e più cara, e questo si riflette sui prestiti bancari. Tuttavia le banche non fanno molto per aiutare la clientela, visto che hanno aumentato il margine che si prendono tra tassi attivi e passivi.

La strategia della Bce consiste nell’elargire al sistema bancario liquidità illimitata e a basso prezzo, a una scadenza inusuale per la politica monetaria: tre anni. Il risultato è che la banca centrale finisce per sostituirsi al mercato finanziario, senza risolvere i problemi di fondo che ne bloccano il funzionamento. La scelta della Bce deriva dal suo rifiuto a svolgere la funzione di prestatore di ultima istanza nei confronti degli Stati più deboli dell’area euro, potenziando l’acquisto di titoli di Stato e dando un contributo alla stabilizzazione di famosi spread. Se la Bce assumesse questo ruolo, favorirebbe la ripresa della raccolta bancaria tramite i canali normali: clientela e interbancario. Viceversa, si sta aggravando una situazione patologica, in cui il sistema bancario è sempre più dipendente dalla banca centrale. Se anche la seconda operazione a tre anni avesse l’esito sperato, cioè di aumentare il finanziamento alle imprese, il problema rimane. Quale modello di intermediazione bancaria ha in mente la Bce: banche che si finanziano dalla banca centrale per prestare al sistema economico? Ma allora perché insegniamo agli studenti che gli investimenti delle imprese sono finanziati dal risparmio delle famiglie? In attesa di una risposta, quello che osserviamo è che le banche sono state indotte ad aumentare ulteriormente la loro esposizione, già alta, verso il settore pubblico: anche questo non favorisce la loro capacità di finanziarsi sul mercato.

La parola ai numeri: l’operazione del 21 dicembre
L’operazione a tre anni del 21 dicembre scorso vide una richiesta di prestiti per 489 miliardi, che furono tutti assegnati. (1) Bisogna però tenere presente che i prestiti sono andati in parte a sostituire altre operazioni di politica monetaria, ragion per cui l’incremento netto di finanziamenti concessi dalla Bce al sistema bancario europeo è stato in realtà molto inferiore: 193 miliardi. Con riferimento al nostro paese, le banche italiane “prelevarono” 116 miliardi in quell’operazione, ma l’incremento netto di liquidità fornita dalla Banca d’Italia nel mese di dicembre è stato della metà, 57 miliardi.

Più titoli di Stato, meno prestiti alle imprese
Nel bimestre dicembre-gennaio, le banche italiane hanno acquistato titoli di Stato per 32,6 miliardi. Nello stesso periodo, i prestiti bancari alle imprese e alle famiglie italiane si sono ridotti di 20 miliardi.

Dalla Bank Lending Survery condotta dalla Bce su di un campione di 110 banche europee, emerge che la stretta creditizia (credit crunch) è un fenomeno europeo. Le stesse banche dichiarano di avere sostanzialmente irrigidito i criteri di concessione di prestiti nell’ultimo trimestre del 2011; non solo, ma si aspettano una ulteriore “stretta” per il primo trimestre di quest’anno. La stretta creditizia viene attuata, oltre che con una limitazione della quantità di prestiti, tramite un aumento dei margini applicati sui tassi d’interesse e chiedendo maggiori garanzie collaterali. I fattori che vi hanno maggiormente contribuito sono noti: aspettative negative sul quadro economico e difficoltà dal lato del finanziamento; quest’ultimo fattore è stato esacerbato dalla crisi del debito sovrano, che ha minato la fiducia reciproca tra le banche stesse, riducendo l’attività sul mercato interbancario. Sotto questo profilo, qualche segnale di miglioramento viene osservato nei primi mesi di quest’anno. Il calo del credito è dovuto anche a un calo della domanda di prestiti, seppure in misura minore; il fatto preoccupante è che il calo della domanda riguarda i prestiti richiesti per finanziare gli investimenti, non quelli per finanziare scorte e capitale circolante. Le stesse tendenze emerse a livello europeo sulla stretta creditizia emergono, più accentuate, con riferimento al sottocampione di banche italiane partecipanti alla survey condotta dalla Bce: otto banche, che rappresentano due terzi del mercato italiano dei prestiti.

Prestiti più cari
Nel gennaio di quest’anno, in Italia il costo dei finanziamenti alle imprese (nuove operazioni) era di 1,3 punti percentuali più alto rispetto allo stesso mese del 2011 (passando dal 2,7 al 4 per cento), a parità di tasso di politica monetaria (1 per cento). Nello stesso periodo, il tasso d’interesse sui mutui immobiliari è salito di un punto percentuale (dal 3,15 al 4,15per cento). Sempre nello stesso periodo, il differenziale tra il tasso medio sui prestiti a imprese e famiglie e il tasso medio sulla raccolta è aumentato di mezzo punto percentuale (dal 2,2 al 2,7per cento).

La raccolta viene dalla  banca centrale
Dal lato del finanziamento, emerge un sistema bancario sempre più dipendente dall’assistenza fornita dalla banca centrale. Nel corso del 2011, il ricorso al finanziamento per mezzo di operazioni di politica monetaria è quadruplicato: lo stock è balzato da 50 a 212 miliardi. Questo incremento di 162 miliardi (concentrato nel secondo semestre) ha rappresentato oltre il 70 per cento del flusso di raccolta fatta dalle banche italiane durante lo scorso anno. Per converso, è bruscamente calata la raccolta dalla clientela italiana (depositi e obbligazioni): il flusso di nuova raccolta è passato dai 130 miliardi del 2010 ai 24 del 2011. Per non parlare del contributo proveniente dall’estero, che è stato negativo per 50 miliardi.

(1) I dati riportati in questo articolo sono di fonte Bce (Bollettino mensile, Bank Lending Survey), Banca d’Italia (Supplemento al Bollettino statistico “Moneta e banche”, Bank Lending Survey), Abi (Monthly Outlook).

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