In futuro in Germania i siti commerciali come, ad esempio, i motori di ricerca o gli aggregatori di notizie alla Google News dovranno pagare una sorta di “tassa” agli editori dei giornali per diffondere online i loro articoli. Lo hanno deciso domenica sera i vertici della coalizione guidata da Angela Merkel nel corso di un vertice svoltosi nella cancelleria di Berlino. La novità ha riacceso uno scontro che si trascina dal 2009, da quando, cioè, il governo tedesco ha annunciato nel suo programma di governo di voler introdurre una misura simile.

Per gli uni – gli editori – si tratta di un intervento a difesa del diritto d’autore; per gli altri – blogger, attivisti della rete, ma anche siti di autorevoli giornali come Die Zeit e Der Spiegel – si tratta piuttosto di un regalo agli editori, che mette per giunta a rischio la libertà di informazione. Nello scontro s’è inserito lunedì sera anche l’ex numero uno e oggi presidente esecutivo di Google, Eric Schmidt: “Temo che una regolamentazione simile possa frenare la diffusione di internet, perché porta a costi aggiuntivi e situazioni conflittuali”, ha detto Schmidt all’agenzia tedesca dpa prima di intervenire insieme alla Merkel all’inaugurazione ad Hannover del CeBIT, la più grande fiera mondiale dell’information technology. “Invece di preoccuparsi di nuove leggi, l’editoria tedesca dovrebbe cercare di cooperare con Google per trovare insieme nuovi modelli di business” ha aggiunto Schmidt, che ha però respinto la definizione di “Lex Google” che sta girando in queste ore in Germania, dal momento che la legge si applicherà anche a molti altri servizi online. A quali, non è dato ancora sapere.

La norma, così com’è formulata nelle conclusioni dell’incontro di domenica sera a Berlino, appare infatti molto generica. In futuro soggetti commerciali come motori di ricerca o aggregatori di notizie “dovrebbero pagare un compenso agli editori per diffondere i loro prodotti stampa, come gli articoli”, si legge nel testo. L’obbligo si estende anche a “piccole parti” di contributi giornalistici, una definizione non meglio specificata. Che succede ad esempio, si è chiesto Spiegel online, con Twitter, oppure col breve testo che compare automaticamente quando si posta su Facebook il link ad un articolo, o ancora con i blog finanziati in parte attraverso la pubblicità? Per ora si sa solo che i contenuti saranno protetti per un anno, che agli autori sarà assicurata una partecipazione ai proventi generati e che gli utenti privati non dovranno pagare per leggere gli articoli trovati, ad esempio, su Google News.

Nell’era digitale una simile misura “è irrinunciabile per proteggere in modo efficace il lavoro comune dei giornalisti e degli editori”, hanno commentato le associazioni tedesche dei quotidiani e delle riviste. Di tutt’altro avviso i più autorevoli blogger del Paese e non solo, che temono un giro di vite sulla possibilità di linkare o citare i contenuti online e sono preoccupati per il futuro dei blog. Per molti, inoltre, ad avvantaggiarsi della novità saranno solo gli editori più grandi, che sono finalmente riusciti a ottenere dal governo quello che chiedevano da anni. Si tratta di una norma scritta dalla Axel Springer, attacca ad esempio netzpolitik.org, uno dei più letti blog tedeschi sui temi della libertà nell’era digitale. Su Twitter, dove la discussione si svolge sotto la parola chiave #LSR, sono in molti a definire il provvedimento una sorta di “salario minimo incondizionato” per gli editori.

“La coalizione di governo e gli editori mostrano di aver capito ben poco dei canali di diffusione su internet: linkare un articolo è una forma gratuita di pubblicità e non un uso dannoso da parte di terzi”, ha attaccato il numero uno dei Pirati Sebastian Nerz. La distinzione tra utenti commerciali e utenti privati fatta dal governo non è più così netta, ha aggiunto Nerz. Tra i critici del provvedimento figurano anche il sito della Zeit e quello dello Spiegel. La coalizione vuole limitare la libertà di informazione per risolvere dei problemi creati dagli stessi editori, convinti per anni dell’impossibilità di far soldi su internet coi contenuti giornalistici e ora desiderosi di ritagliarsi una fetta dei proventi generati da Google. Di fatto Berlino risparmia agli editori la necessità di innovare e getta le basi per la chiusura in Germania di Google News, aggiunte Zeit online. E Spiegel online conclude: l’esperienza del settore musicale dimostra che simili misure “possono limitare la libertà di citare contenuti”, se resterà così vaga la norma produrrà un caos giudiziario destinato a proseguire per anni.

Articolo Precedente

Il senso della parola “giornalismo”

next
Articolo Successivo

Liberiamo Monti,
è un ostaggio di B.

next