E’ il circolo vizioso per eccellenza. Il debito sanitario della Campania è immenso, insieme a quello del Lazio incide per il 69% sull’intero debito nazionale. E se i tagli alla spesa pubblica sanciti dal piano di rientro intaccano la qualità dei servizi sanitari i malati si vanno a curare fuori regione. E così i costi delle loro terapie incidono ulteriormente sui disastrati e commissariati conti campani. Dando il là a nuovi tagli alla spesa. E così via all’infinito. Nell’anno appena trascorso il saldo negativo delle “mobilità passive” della Campania, ovvero le prestazioni sanitarie effettuate presso altre regioni è salito a 417 milioni di euro. Primato nazionale. Oltre cento milioni in più del buco di 311 milioni calcolato nel 2010 sulla base di un saldo migratorio negativo di circa 63.000 pazienti (89.000 campani in uscita e solo 26.000 in entrata da altre regioni). Anch’esso record italiano.

Campania leader in quelli che secondo una metafora un po’ abusata sono chiamati “i viaggi della speranza”. Tutto questo mentre Maurizio Scoppa, il commissario dell’Asl Napoli 1, la più indebitata d’Europa (altro record), esulta per aver dimezzato il debito corrente a 298 milioni di euro, circa il 55% in meno dei 460 milioni del 2010. “Un risultato – dice Scoppa, nominato dal governatore Pdl Stefano Caldoro – ottenuto oltre ogni più rosea aspettativa, senza fare tagli alla spesa sanitaria, ma eliminando gli sprechi, riducendo le spese inutili, senza incidere sulla qualità”. “Cifre taroccate – replica il gruppo Pd in consiglio regionale guidato da Giuseppe Russo – che sono state raggiunte grazie a tre fattori: le maggiori entrare Irap e Irpef, grazie alle aliquote più alte d’Italia; il blocco del turnover; il decremento della spesa farmaceutica di circa 46 milioni, dovuto alla scadenza di alcuni brevetti e all’aumento del ticket. Il piano di rientro non ha comportato una modifica strutturale del sistema sanitario regionale e non ha posto le premesse per un sistema più equo e più moderno. Stiamo solo assistendo a tagli indiscriminati, a cominciare dai pronto soccorso del San Gennaro, dell’Ascalesi, del Cto, che decrementano gravemente la qualità dell’assistenza sanitaria. In mancanza di alternative tutta l’utenza si scarica sul Cardarelli, diventato un barellificio. Non era prevedibile”?

Eppure non si possono dimenticare le responsabilità del Pd dell’ex governatore Antonio Bassolino e del suo principale alleato Ciriaco De Mita nella lievitazione del debito. Dieci anni del loro governo ininterrotto della sanità campana hanno prodotto le cifre che vediamo e sulle quali ora è chiamato a lavorare il Pdl. E senza intervenire su alcune voci che secondo il Pd andrebbero sfoltite. Secondo una loro relazione, le Asl spendono svariati milioni di euro in convenzioni con le Università. In particolare l’Asl Napoli 2 che spende 6 milioni di euro con le strutture accreditate e un milione e trecentomila euro per prestazioni di emodinamica in convenzione con Università e Monaldi  “dove – afferma Russo – esiste un palese conflitto di interessi del senatore Pdl Raffaele Calabrò”, docente universitario di cardiologia, consulente di Caldoro per la sanità, e ispiratore, secondo le opposizioni, di politiche che puntano a salvaguardare lo status quo del Monaldi, centro cardiologico di eccellenza in Campania.

Invece di elaborare strategie di medio e lungo periodo per erogare servizi migliori contenendo i costi, la politica ha preferito tramutare la sanità in serbatoio di clientele e terreno di caccia di consenso elettorale. Fa riflettere ascoltare il consigliere regionale Pd Antonio Valiante che propone una legge per far scegliere a commissioni di docenti universitari e su criteri predeterminati i direttori generali delle aziende sanitarie e ospedaliere. E’ lo stesso Antonio Valiante, per più di un lustro vice di Bassolino, che il 28 dicembre 2005 si recò a Nusco, a casa di De Mita, con l’assessore regionale alla Sanità Angelo Montemarano e il presidente della Provincia di Salerno Angelo Villani – lo scrisse il giorno dopo Giuseppe Del Bello su Repubblica – per un summit di politici targati Margherita in cui si discussero e si decisero con la benedizione dell’ospite le nomine dei manager che sarebbero state deliberate in giunta Bassolino due giorni dopo. Passato all’opposizione, si è ravveduto. Di quella stagione, che pochi rimpiangono, è sopravvissuta la Soresa, una partecipata al 100% della Regione. Aveva lo scopo di gestire il debito sanitario e di centralizzare le forniture. Ma ha sostanzialmente fallito. Dice di essa Tommaso Cottone, procuratore regionale della Corte dei conti, in un’intervista a Gianluca Abate del Corriere del Mezzogiorno: “La Soresa è una questione aperta. L’inchiesta è ancora in corso, quindi posso dire davvero poco. Ma resta il fatto che una società nata per gestire il debito della sanità, non è in grado a tutt’oggi di definirlo. Non solo. Non sono riusciti a chiudere i contenziosi con i creditori. Con un’aggravante: la Regione non conosce cosa fa la Soresa”.

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