Pax mafiosa in regione”, risuonano ancora le parole del procuratore generale di Bologna nell’aprire pochi giorni fa l’anno giudiziario. “Sono sorpreso che le istituzioni economiche locali pensino che il pericolo mafia non sia all’ordine del giorno. La criminalità organizzata ha chiesto persino fondi pubblici alla Regione per le sue imprese”, proseguiva il pg davanti ad attonito giornalisti e magistrati.

E che la criminalità organizzata abbia alzato il tiro in una regione come l’Emilia Romagna non è più un mistero. Gli uomini affiliati alle cosche mafiose hanno iniziato a far sentire la loro voce da tempo. Direttamente e con forza, contro quelle persone che ogni giorno lavorano e lottano per combatterle. Nell’arco di due mesi sono già quattro i magistrati che hanno subito minacce, tre dei quali si trovano ora sotto scorta. Ma nonostante i numerosi arresti, i sequestri di beni e le inchieste che fioccano in continuazione, la regione, una delle più impregnate di mafia al nord, non ha ancora una sede Dia. A dicembre dello scorso anno il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri fece certamente un regalo natalizio con la decisione di istituire una sede della Direzione investigativa antimafia a Bologna, ma dopo due mesi si discute ancora sui locali che ospiteranno gli uffici delle forze dell’ordine che compongono questo nucleo investigativo speciale.

Per ora, infatti, la Dia competente sul territorio dell’Emilia Romagna è quella di Firenze. Ma tra qualche mese, ancora non si sa di preciso quanto tempo dovrà passare, si aspetta l’apertura della sede bolognese, che potrebbe trovare i suoi spazio in via Barontini, dove attualmente si trovano gli uffici dei giudici di Pace. Potrebbe, perchè qualche problema è già sorto. La sede Dia, infatti, se dovesse essere istituita in via Barontini andrebbe a sottrarre troppo spazio ai giudici di Pace.

La Dia che sarà competente sull’Emilia Romagna sarà una sezione, un’articolazione cioè della Dia di Firenze, ma con una struttura autonoma. Inizialmente sarà composta da circa dieci persone (ancora da selezionare), scelte tra le diverse forze dell’ordine, per arrivare al doppio a fine anno. Il Comune si sta impegnando a cercare altri locali da metterle a disposizione, ma i tempi sembrano ancora lunghi. Si parla di un’apertura in aprile, ma vista la situazione ancora di incertezza sembrano tempi troppo ottimistici. Bisogna poi stabilire, oltre ai componenti, chi sarà l’ufficiale che guiderà la Dia, scelto tra le diverse forze dell’ordine: polizia, carabinieri, guardia di finanza.

La Direzione investigativa antimafia è certamente un tassello utile per la lotta alla criminalità organizzata in regione. Una regione che, grazie alle indagini dei magistrati, giorno dopo giorno mostra con evidenza quanto la mafia stia traendo giovamento e ricchezza da queste terre. E quanto, di conseguenza, sia necessario combattere le associazioni mafiose, con vigore e costanza. Anche gli affiliati ai clan si sono accorti dell’attivismo delle procure della Repubblica in Emilia Romagna. Motivo questo che ha portato alcuni mafiosi a mostrare i muscoli e a far notare la propria presenza direttamente davanti agli inquirenti, con minacce o pedinamenti. Negli ultimi due mesi, infatti, sono quattro i magistrati che hanno subito questo tipo di trattamento, tre di questi già sotto scorta.

L’ultimo magistrato finito nel mirino del clan dei Casalesi è Lucia Musti, prima in servizio alla direzione distrettuale antimafia di Bologna, poi divenuto procuratore aggiunto di Modena. Un collaboratore di giustizia avrebbe raccontato nelle scorse settimane agli inquirenti di Catanzaro che il magistrato sarebbe stato pedinato in passato da esponenti del clan dei Casalesi. Musti non ha voluto commentare la notizia, che è giunta nella città emiliana pochi giorni fa. I pedinamenti sarebbero iniziati quando il pm era in servizio alla procura di Bologna, e proseguiti anche dopo il trasferimento nel settembre 2009 a Modena. Anche se, a detta del pentito, il suo abbandono della Dda avrebbe “tranquillizzato” chi pedinava il magistrato. Motivo che comunque non fa escludere la possibilità di sottoporre il procuratore aggiunto, in via cautelativa, a forme di tutela.

È probabile che i pedinamenti vadano collegati all’inchiesta condotta da Musti nel 2009 contro gli affiliati “modenesi” alla camorra casertana, che poi nell’operazione “San Cipriano” portò a 20 arresti. Le prefetture di Modena e di Bologna valuteranno a breve se concederle la scorta, che già in passato le era stata assegnata a causa delle minacce legate all’inchiesta sui “bambini di satana”. Inoltre recentemente il suo domicilio bolognese è stato sottoposto a vigilanza, in seguito ad alcuni strani contatti in carcere intercorsi tra un malavitoso calabrese arrestato per omicidio di mafia a Ravenna e un estremista anarchico.

Ma la vicenda di Lucia Musti è solo l’ultima di una serie preoccupante di minacce arrivate a magistrati che prestano servizio in regione, e che si occupano o si sono occupati di criminalità organizzata. Due pubblici ministeri della Dda di Bologna, infatti, sono attualmente sotto scorta, a causa delle loro indagini.

Così come un magistrato che vive a Bologna e lavora al tribunale di Modena. Quest’ultimo, circa due mesi fa, trovò il portone e il pianerottolo di casa imbrattati di sangue. Il magistrato aveva trattato importanti processi per reati contro la pubblica amministrazione, e attualmente si occupa di processi contro la criminalità organizzata. Anch’egli è sotto la tutela delle forze dell’ordine. Ora il fascicolo, inizialmente nelle mani del pm di Bologna, Marco Mescolini, è passato alla procura di Ancona, competente per i procedimenti riguardanti i magistrati del distretto di Bologna. Il magistrato abita in una strada del quartiere Mazzini. Ed è proprio lì che i primi di dicembre dello scorso anno si accorse di schizzi di sangue sul pianerottolo. Un’incursione probabilmente simbolica, ma comunque esplicita. Il sangue sarebbe quello di un volatile, viste anche alcune piume trovate in giro. Un episodio che il Prefetto ha preferito non sottovalutare, concedendo la scorta al magistrato. Visti anche i delicati processi di criminalità organizzata che lo impegnano come giudice a latere al Tribunale di Modena, in cui lavora da ormai tre anni. Prima aveva invece prestato servizio in un tribunale del centro Italia.

Ma oltre a giudici e pm, gli occhi e le attenzioni degli affiliati ai clan mafiosi in regione, si sono rivolti anche verso un giornalista, Giovanni Tizian, al quale a metà gennaio è stata assegnata la scorta. La vicenda di Tizian è nata da un’inchiesta della Dda di Bologna sulla ‘ndrangheta. Un’indagine che avrebbe rivelato le minacce di uomini delle cosche di origine calabrese. E proprio da questi elementi la direzione distrettuale antimafia del capoluogo emiliano aprì un fascicolo sulle intimidazioni al giornalista. Una situazione, quella di Tizian, definita dal procuratore capo di Bologna, Roberto Alfonso, “di preoccupazione, davanti alla quale è giusto intervenire”.

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