Il decreto si chiama “svuota carceri”, ma sulla costa meridionale della Sicilia, a Gela, c’è un carcere che è già vuoto, senza bisogno di decreti: può ospitare 96 detenuti, ce ne sono solo 39 che non fanno alcuna attività, non hanno assistenza sanitaria e nessuno gli dà un flacone di shampoo per lavarsi i capelli, ma possono guardare la tv nello schermo piatto ultramoderno, come si legge nell’interrogazione dei Radicali che lo hanno visitato il 31 dicembre scorso. Progettato negli anni ’50, i lavori iniziarono nel 1982; e dopo varie inaugurazioni, con tanto di sindaci con la fascia tricolore, è stato effettivamente aperto il 28 novembre 2011.

E’ il carcere più nuovo d’Italia, le sedie e i tavoli del nuovissimo teatro sono ancora imballati, ma funziona a metà, l’esatto opposto del vecchio penitenziario catanese di piazza Lanza, dove sono reclusi 569 detenuti a fronte di una capienza di 155 posti letto: un indice di sovraffollamento del 367 per cento, tra i più alti d’Italia. E se a Gela non uscirà nessuno, qui sono solo circa cinquanta i reclusi a beneficiare del decreto legge “svuota carceri” convertito martedi scorso alla Camera, in un istituto di pena in cui otto-dieci detenuti ammassati in una cella, denunciano i Radicali, sono la prassi. E dove, tagliuzzati alla meglio, i vecchi maglioni diventano copricapi improvvisati di lana per difendere la testa dal gelo, visto che fuori la temperatura è pochi gradi sopra lo zero, dietro le sbarre si muore di freddo, e stare in dieci dentro una cella non riscalda l’ambiente: i termosifoni ci sono, “ma non funzionano per mancanza di fondi”, così i maglioni diventano berretti e le calze vengono adattate a fasce per coprire le orecchie, visto che in carcere è proibito far entrare i cappelli di lana, con cui i detenuti possono “coprire il volto e non farsi riconoscere”.

Il girone infernale è il reparto “Nicito“, soprannominato “isolamento”, in condizioni strutturali fatiscenti, come lo ha definito la delegazione radicale guidata dall’onorevole Rita Bernardini che l’ultimo dell’anno è andata a visitare per la quarta volta gli “ospiti dello Stato ristretti” nel penitenziario catanese, traducendo nell’ennesima interrogazione l’esito della visita. Costruito più di 100 anni fa, il carcere di piazza Lanza ha ancora le celle di sette metri quadrati, senza la doccia e con il wc alla turca, in alcuni casi a vista. La luce arriva da un piccolo lucernario che i detenuti aprono e chiudono con un vecchio filo di ferro: il reparto non è mai stato ristrutturato, le celle sono piccole, umide e buie, i muri scrostati, la doccia comune ha solo 2 piatti-doccia e si presenta in condizioni strutturali e igieniche pessime.

La cayenna è la cella numero 20, detta “cella liscia”: è senza materasso e con il wc a vista. Quello di piazza Lanza non è un caso isolato: oggi 172 istituti penitenziari italiani su 204, pari all’84, 31 per cento, sono sovraffollati oltre la capienza regolamentare. E 103 istituti su 204, pari al 50, 49 per cento superano la capienza tollerabile. La regione record per sovraffollamento è la Calabria (77,6 per cento) seguita da Puglia (76,3 per cento), Emilia Romagna (73,7 per cento), Marche (72,1 per cento) e Lombardia (65,9 per cento), secondo i dati della Uil Pa Penitenziari, e il carcere con il più alto tasso di affollamento resta Lamezia Terme (193,3 per cento), seguito da Busto Arsizio (164,7 per cento), Vicenza (155,5 per cento), Brescia Canton Mombello (152,5 per cento) e Mistretta (137,5 per cento). Qui, a prima vista, nessuno dovrebbe tentare il suicidio, fenomeno in tragica, costante crescita (66 detenuti nel 2011 più 8 agenti di polizia penitenziaria). Condizione dei reclusi che in Sicilia subisce un’ulteriore beffa: il governo Lombardo ha abolito la figura del garante dei detenuti, ritenuta evidentemente inutile, ruolo finora ricoperto dal senatore Salvo Fleres, mantenendone, però, l’appannaggio, oltre centomila euro, nella previsione di bilancio.

da Il Fatto Quotidiano del 17 febbraio 2012

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